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Ultime ore prima dell'alba
Sei affacciato alla finestra, il pianto ti riga la
gola e si confonde col sudore sul petto, il dolore
ti contorce lo stomaco, un brivido t'increspa la pelle.
Niente è come credevi che fosse, lei t'odiava
e nemmeno te n'eri accorto. Era odio bello e buono,
altrimenti non t'avrebbe detto certe cattiverie, non
t'avrebbe chiamato fallito. Aspetta, com'è
che ha detto di preciso? Ah, sì, fallito per
natura.
"Sei un fallito per natura, Tommaso, e lui vale
mille volte più di te anche a letto."
L'hai implorata mentre staccava dal muro il quadro
di sua zia - la crosta schifosa che ti sei sempre
tenuto per farle piacere - l'hai scongiurata di non
portarsi via Chicco, mentre lei lo vestiva in fretta
e lui aveva già il labbro inferiore che tremava.
"Il bimbo è spaventato, Anna, per l'amor
di Dio."
Ma lei non vedeva più nemmeno suo figlio. Allora
sei stato tu a tacere per primo, a tirare su per lei
la valigia pesante.
"Ok, amore di papà, adesso la mamma ti
porta per qualche giorno dai nonni, così puoi
giocare col canino. Come fa il canino? Eh, come fa?
Fai bu a papà."
Ma lei si è voltata, quasi a nasconderti il
bambino col suo corpo, quasi a proteggerlo da te,
da te, che lo ami come non hai mai amato niente in
tutta la tua vita di merda. Avevi giurato che tuo
figlio non avrebbe mai sofferto, che gli saresti stato
sempre a fianco, che lui avrebbe avuto un padre ed
una madre, sì, almeno lui.
"Non
hai aspirazioni, non hai ideali", ti ha detto
lei. Sì che ce l'hai, invece, cazzo, se ce
l'hai. E' Chicco la tua aspirazione, il tuo ideale.
Lei non sa di quanto affetto sei capace, tu che non
hai mai avuto una famiglia, che i tuoi genitori l'hai
solo immaginati, notte dopo notte, in istituto, singhiozzando,
mentre i grandi cercavano di saltarti addosso o ti
riempivano di botte, e tu giù, a tenere duro,
ad aspettare i diciott'anni per uscire, per imparare
un mestiere, per trovare una ragazza, per farti una
famiglia.
Lei e Chicco non hanno più bisogno di te, ti
hanno abbandonato proprio come quei figli di puttana
dei tuoi genitori, sei rimasto solo, in questa brutta
città, col tuo laido lavoro all'officina, e
non c'è ritorno, non c'è futuro, ogni
gesto è inutile.
Lasci la finestra, vai nel bagno. C'è ancora
la tutina di Chicco, di traverso sul bordo della vasca.
L'afferri, te la strofini sulla faccia, l'annusi.
E' umida, sa di pipì. Te la tieni premuta sotto
il naso con la sinistra mentre, con la destra, prendi
una lametta. Molli la tutina, ti tagli il polso sinistro,
poi cambi mano e tagli anche il destro.
Guardi il sangue che sbocca e ti butti sul letto,
pensando quanto ci vorrà. I polsi ti fanno
male, ma poco, solo un frizzore.
Hai paura.
Eh, sì, fino a poco fa, fino quando sei andato
di là a tagliarti le vene, volevi solo mettere
fine al tuo dolore, ma ora hai una fifa cane. E' una
sensazione forte che non ti fa pensare più
tanto a lei ed a Chicco.
Chiudi gli occhi, affondi la testa nel cuscino, ma
poi li riapri, anzi li spalanchi. Il cielo si sta
scolorando oltre i palazzi,
dove cominciano le colline. Senti il rumore del furgone
dei giornali.
Giugno.
Un gruppo d'alberi ed un muro con troppe finestre,
il cigolio di un'altalena. Sei disteso a pancia in
su nel prato, fumi una sigaretta proibita. Hanno tagliato
l'erba e sai che stingerà sulla divisa, ti
prenderai un rimbrotto da padre Mattia, ma non t'importa,
perché l'erba è fresca e ti piace il
suo solletico.
Guardi il cielo, la scia bianca che lasciano gli aeroplani,
un calabrone ti ronza sulla testa. Pensi che il caldo
abbia un rumore, ed è proprio il rumore del
calabrone.
Coglione.
Stai morendo e pensi a quand'eri ragazzo, ai compagni
di scuola - ma non erano tutti pedofili o picchiatori?
- Pensi ai colleghi di officina, specie Mariotto che
ti porta sempre la mortadella e il vino che fa suo
padre al paese. Pensi anche ai tuoi genitori che,
prima di abbandonarti, ti hanno offerto la vita. Hai
freddo, la fronte ti suda ghiaccio. C'è un
bicchiere sul comodino, vedi l'acqua, la vorresti
sulla tua lingua di cartone. Hai sete, eh? Ci dovevi
pensare prima, c'è scritto dappertutto che
quando ci si dissangua è così.
Sete
Sete
Cristo santo
Pensi all'acqua che sgocciola lungo le grondaie e
lava le macchine. Vorresti alzare il braccio, ci provi
almeno. Rimane lì, incrostato al lenzuolo,
come un macigno, già mezzo morto. Lo sai vero,
coglione, che ormai non ce la fai più a prendere
il telefono?
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