|
.
Incompiuta
Al
funerale ci sono gli amici che trovano il morto smagrito
e sciupato. Per forza, è sciupato. Si ragiona
della vita, siamo tutti attaccati a un filo, oggi
ci siamo e domani no, ma nessuno dice la verità,
cioè che quello lì, Tommaso, mai avrebbe
chiesto di venire al mondo, ed ha vissuto tutti i
suoi anni senza sapere qual era la sua meta, giusto
per finire così, stecchito e rigido nella bara.
Perché, quello lì, Tommaso, era un poeta.
Scendeva al mare, la mattina, là dove la schiuma
sferzava gorgogliando gli scogli, e scriveva versi.
Poi si rimetteva i mocassini, risaliva la scarpata
e andava a lavorare al magazzino.
Non era più giovane Tommaso, ma per lui l'ultima
poesia era ancora la prima. Per lui era ancora il
primo giorno di lavoro, quel lavoro temporaneo, meschino,
che non gli piaceva. Si sentiva appena fresco di studi,
in attesa di tuffarsi nella vita vera, la vita che
ti dà gioia, soddisfazione, piacere.
Invece la pelle era grigia, e gli occhi non vedevano
più, specie il sinistro. Sua moglie, Pina,
adesso non lo riconosceva neanche, quando la sera
tornava casa.
Eppure lui aspettava, fiducioso, aspettava la vita.
C'era una cosa che non osava neppure pensare, una
frase che non poteva nemmeno formulare, mentre Pina
già parlava di pensione e di nipoti.
Che senso avrebbe, si chiedeva, se ora io morissi,
che senso avrebbe mai, questa mia vita incompiuta,
sprecata?
E, dentro di sé, sbatacchiava come un leone
in gabbia, si rivoltava come un matto nella camicia,
mentre, in silenzio, con estrema calma, smarcava le
vernici e contava i barattoli.
Prima, aspetti e sai che ce la farai, poi, aspetti
e sei un po' meno sicuro, ma, dici, non è possibile,
ci deve essere uno scopo, una meta, un pianerottolo.
Alla fine capisci che stai rinunciando, che davvero
nessuno leggerà mai le tue poesie.
Allora morire non è poi così grave.
Piangeva, la notte, Tommaso, e stringeva i pugni.
Forse perché se lo sentiva, forse perché
le sigarette gli avevano ingiallito le dita e arrochito
la voce. Come adesso stanno dicendo in tanti, se l'è
voluta. Il coso dentro il polmone è cresciuto,
gli ha disintegrato gli alveoli, l'ha soffocato. E'
morto guardando la finestra, lo so perché c'ero.
Pina stava zitta, in un angolo, con le bollette in
mano.
Allora sono andato di là, dove lui teneva le
poesie. Scritte a mano, perché non gli piaceva
picchiare sui tasti, perché lui era rimasto
indietro, ai tempi del liceo. Ho preso i fogli dal
cassetto, li ho messi nella borsa.
E ora, Tommaso, sarebbe bello dirti che ho trovato
un editore, che il mondo ti leggerà postumo,
che Pina ed i ragazzi diventeranno ricchi con i tuoi
versi. Questa storia avrebbe un senso, un lieto fine.
Ma il mondo non gira in questo modo, il mondo non
è degli illusi, come noi.
Domattina andrò al mare, là dove tu
scendevi, appena farà giorno.
Non avrò bisogno di leggere le tue parole perché
le conosco, come tu conosci le mie. Ci scambiavamo
rime, consigli, figure.
Mi toglierò le scarpe, come tu facevi, e immergerò
i fogli ad uno ad uno nell'acqua. Resterò a
guardare mente l'inchiostro si scioglierà,
e le parole scompariranno.
Le tue parole, Tommaso, le parole nate sul mare, che
il mare raccoglierà.
E le mie parole, le parole dei poeti sconosciuti,
delle anime nascoste, delle vite incompiute.
|