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Nessun dolore
E' spaventoso come una persona ti esce dal cuore.
La guardi e capisci che hai rinunciato a sperare.
Non sarà mai come vorresti che fosse. C'è
un ponte fra voi, che ogni giorno tu fatichi ad attraversare,
ma lei non si sporge mai verso di te. Ti cresce il
vuoto dentro, vedi l'abisso che si scava, e ti senti
impotente.
Certo, avvocato, certo, lo so che divago, lo so che
devo essere precisa. Ricordo bene quando Francesco
è venuto a prendermi al lavoro.
Ci siamo fermati alla gelateria Primavera. Mentre
io ordinavo due paste, lui si è messo a leggere
la Gazzetta dello Sport.
"Ti devo dire una cosa", ho cominciato.
Rigiravo le analisi fra le dita, sotto il tavolino,
mi tremava la voce.
"Uhm", ha fatto lui, senza alzare gli occhi
dal giornale. E' quello che dice quando non mi sta
ascoltando.
"Vaffanculo, France".
"Eh, dicevi?"
"Niente."
In quel momento gli è squillato il cellulare.
Ha risposto piegando appena la testa di lato, come
fa quando mi sta raccontando una bugia. "Sì,
sì", ha detto, "ne parliamo con calma
domani", poi ha chiuso la comunicazione. L'ho
guardato senza dire nulla e lui ha abbassato gli occhi.
"Chi era?", ho domandato alla fine."Nessuno,
la solita grana di lavoro."
Ho osservato la sua figura, che conosco in ogni minimo
particolare, tanto che potrei disegnarla ad occhi
chiusi. I bei capelli neri, le lunghe ciglia quasi
femminee, l'aria elegante e svagata. "Andiamo
a casa", ho detto, "sento freddo."
A casa abbiamo parlato del dentista, del lavandino
intasato e del veterinario per Bingo, poi, di nascosto,
gli ho preso il cellulare dalla tasca e ho premuto
ultima chiamata.
Una voce di donna, assonnata e roca. E' stata la banalità
di quella voce ad offendermi.
E poi ricordo anche quella sera, mesi dopo, che sono
tornata a casa ed in camera c'era il letto smosso,
nel bagno il mio accappatoio non stava dove di solito
lo lascio. Lei si era gingillata con i miei trucchi,
li aveva aperti, spostati, aveva spruzzato il mio
profumo per divertirsi o forse per nascondere il suo
odore. Ho trovato Bingo rintanato sotto il letto,
l'ho preso in braccio, "mami è qui, è
tutto a posto." Ma non era tutto a posto, no,
affatto.
Ancora il telefono, sempre quel cazzo di telefono.
"Che succede, France?
"Niente, vai di là, lasciami in pace."
Sono andata in cucina ed ho cominciato a lavare l'insalata.
Lo sentivo camminare in su ed in giù per il
soggiorno, sentivo le sue imprecazioni soffocate.
"Non puoi farmi questo".
"Ci sono problemi?" ho domandato. "Nulla
che non si possa risolvere, Chiara. Lascia stare quella
roba, ti porto fuori a cena."
Siamo andati al solito posto, lui ha ordinato il pesce
ma poi l'ha lasciato nel piatto. Parlava poco, teneva
la testa bassa. Gli è squillato ancora il cellulare
e ho riconosciuto la voce alterata di quella donna.
Ho sentito chiaramente le parole incinta e divorzio.
"Non ci lascia più neppure cenare?"
ho domandato. Stranamente, lui non ha negato. Ha calato
la testa nel piatto, ha sospirato. "Chiara, sistemerò
le cose, dammi un po' di tempo."
C'è un tempo per tutto, Francesco, avrei voluto
dirgli, e quel tempo per noi è passato. Ma
ho imparato che tacere è la via migliore, che
è così che si sopravvive.
A casa mi sono piazzata davanti allo specchio e mi
sono guardata tutta, dalla testa ai piedi, come per
rendermi conto che ci sono. Ho lisciato la pancia
che cominciava a soffocarmi. "Cerca di essere
felice, Chiara", mi sono detta, "fallo per
te e per il bambino."
Vede, avvocato, non riesco a provare tenerezza per
mio figlio, sono svuotata d'ogni sentimento. L'unica
cosa che davvero vorrei è tornare a casa. Se
mi permettessero di rientrare, metterei tutto a posto,
laverei via quelle macchie. Ho lasciato troppe cose
a metà, ci sono ancora le camicie di Francesco
da stirare, i pantaloni da portare in tintoria. Mi
serve qualcosa di lui da toccare, da annusare. Tiro
fuori di tasca una sua foto e la liscio. E' più
giovane, più magro, con più capelli,
sorride a me che lo inquadro. Forse quando gli hanno
fatto l'autopsia, mi ha chiamato, forse ha avuto paura.
Mi passo la foto sulla guancia ed è fredda.
Perché cazzo non si può piangere un
morto da soli?
I morti vanno piombati nelle casse, archiviati in
fretta, perché la vita continui, perché
si torni al lavoro, a scuola, allo stadio.
Sa, al funerale, la gente passava, posava fiori ai
piedi della bara, mi stringeva le mani. "Coraggio,
Chiara." Ma non mi guardavano negli occhi. Qualcuno
mi baciava, lasciandomi una scia di saliva sulla guancia
che mi pulivo subito, di nascosto, col dorso della
mano.
Mia madre parlava con la gente. "Abbiamo preso
l'avvocato migliore, questa non mi doveva capitare,
non ce la faccio alla mia età." Mia madre
mette sempre se stessa al centro, come se Francesco
fosse morto per dare un dispiacere a lei, come se
il dolore non fosse mio ma suo.
Io fissavo Francesco, le palpebre semiaperte, le guance
incavate, la barba che continuava a crescere anche
nella bara. Cosa aveva a che fare col ragazzo che
mi mandava mazzi di rose per farsi perdonare, che
mi lasciava bigliettini teneri in giro per casa?
Ma sarà vero che i morti sono in pace ?
Gli parlavo. Sai, France, dicevo, sono stata da lei,
al suo negozio. Ha detto che mi volevi lasciare dopo
la nascita del bambino. Non le ho creduto.
Sì, lei, proprio lei, appoggiata al bancone,
indaffarata con i saldi di fine stagione, ha stirato
le labbra gonfie, ha strinto gli occhi truccati, ha
detto che non eri felice con me.
Dicono che il bambino ha bisogno di sentire il mio
affetto, ma che non devo attaccarmici troppo perché
me lo toglieranno. Vorrei che fosse ancora dentro
di me.
Ho letto articoli su bambini cresciuti in prigione,
che chiamano cella la casa, che hanno terrore del
mondo di là dalle sbarre, che vengono strappati
alle madri in una data ora e in un dato giorno stabiliti
dalla legge.
Bambini insicuri, traumatizzati, segnati per tutta
la vita. Risparmierò questo a mio figlio, lo
lascerò andare. Non gli darò nemmeno
un nome.
Francesco ed io ci siamo amati, cosa crede, avvocato,
i ricordi belli sono tutti lì, se non ne fossi
convinta, impazzirei.
Ora vorrei trovarmi al suo posto, senza più
pensieri sotto la terra fresca, solo l'odore d'acqua
ferma nei vasi e, tutt'intorno, i morti immemori,
senza ricordi, senza speranze inutili. Ma, in fin
dei conti, si tratta solo di mettere un piede di fronte
all'altro, nello spazio ristretto di questa cella,
far passare il tempo. Ho persino il lusso di poter
piangere da sola, quando le altre sono fuori per l'ora
d'aria. Piango solo un poco, piango di nascosto e
poi vado avanti. Mi piego ma non mi spezzo, avvocato,
tanto, lo sa anche lei, ormai non c'è più
niente da spezzare. Sento le donne che gridano, che
si disperano. Io non grido mai, sto sempre zitta,
ascolto le voci nella mia testa. "Francesco,
Francesco, Francesco".
Francesco dovrebbe essere anche il nome di mio figlio,
ma mi mordo le labbra per non dirlo a voce alta, per
non chiamare un bimbo che non mi appartiene, che un'altra
alleverà.
Di là da queste sbarre, sento il fischio delle
rondini che si abbassano per rincorrere i moscerini.
Sono sola, in balia di me stessa. E' un dato di fatto,
avvocato, non c'è niente di male. Nessun dolore,
anzi, quasi un senso di trionfo.
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