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Sordocieco
Dovette
spingermi, mio padre, per farmi superare il cancello
di ferro battuto, sormontato da telecamere a circuito
chiuso. Appena di là ebbi la sorpresa di vedere
che tutto l'interno della muraglia era rivestito da
una spessa imbottitura di gomma piuma.
- Papà, perché il figlio dei Simonti
non va a scuola?
"Non t'impicciare, pensa ad andarci tu a scuola,
e a studiare che hai preso quattro. Guarda, se ci
penso, io non so cosa ti farei!" Mio padre era
davvero molto arrabbiato con me. Non mi parlava da
quando avevo portato a casa la pagella e mi aveva
obbligato a seguirlo nel suo lavoro di giardiniere
per tutta l'estate. Quel giorno era la volta della
villa dei Simonti.
Avrei voluto chiedergli conferma delle voci che circolavano
in classe. Si diceva che i Simonti tenevano un mostro
in casa e non lo facevano mai uscire.
Mentre mio padre versava la benzina nel tosaerba,
e si dava da fare per accenderlo, ansimando e tirando
con forza la corda del motore, io stavo ancora cercando
la risposta alla mia domanda.
Poi il tosaerba si mise in moto ed il suo frastuono
coprì ogni altro rumore. Mio padre, torvo,
indicò col capo prima il rastrello e poi un
grande albero vicino alla casa, ed io capii che dovevo
raccogliere tutte le foglie che erano cadute.
Presi il rastrello e m'incamminai di malavoglia verso
l'albero al centro del giardino. Cominciai a rastrellare
qualche foglia in qua ed in là, masticando
una caramella.
Poi dei fruscii attirarono la mia attenzione.
Sul prato davanti a casa, c'erano una donna ed un
bambino.
La donna aveva i capelli biondi legati con un elastico.
Il bambino era alto come me. Ma non camminava come
me. Ciondolava con le mani protese in avanti.
La donna si teneva un poco discosto, pronta a sorreggerlo,
ma silenziosa.
Il bambino avanzava a piedi nudi nell'erba.
Avanti,
avanti, avanti
Piedi freddi, perché non ho cose sopra a coprire.
Sotto umido ghiaccio dei fili sottili mollicci. Avanti
sui fili sottili mollicci, bagnati.
Solletico, brivido
Profumo, aria.
Respiro. Respiro.
Calore che pizzica, piace. Alzo testa verso calore
che pizzica piace.
Rastrellavo
meccanicamente, ma continuavo a guardare i due. Erano
strani, ma proprio strani strani.
Il bambino ballonzolò avanti, poi si fermò,
rovesciò il capo in una posizione forzata.
Spalancò la bocca e respirò risucchiando,
come se stesse bevendo l'aria e farlo gli piacesse
un sacco.
Con tutte e due le mani, il bambino cominciò
a strusciare il muro di casa, passando le dita lungo
una specie di sbarra di plastica che conduceva alla
porta.
Mi nascondevo dietro il tronco del grande albero,
ma ero abbastanza vicino da vedere ogni particolare.
Le dita del bambino erano corrose dal troppo tastare
e strofinare ogni cosa che incontrava. Sui suoi polpastrelli
c'era sangue.
La donna si manteneva accosto, muta come se le parole
non servissero, senza toccarlo mai, senza sorridere,
ed il suo sguardo era dolce come quello di mia madre
quando guardava me. No, di più.
Poi il bambino raggiunse la porta.
Tendo
braccia. Tocco tondo, gelido, scabro. Avanti dritto,
dritto fino a foro con punte che conosco, giro, entro.
La
donna ed il bambino entrarono in casa, ma dalle finestre
grandi, aperte, io potevo ancora vederli. Si erano
fermati nella prima stanza. C'erano un armadio, un
letto con le sbarre, dei peluche. C'era un tavolo
con gli angoli foderati e, sopra, delle costruzioni
giganti. Non c'erano quadri alle pareti, però,
non c'era il poster de "Il signore degli anelli",
né la foto della squadra del cuore, come in
camera mia. Ogni oggetto era ricoperto di gommapiuma
al pari del muro di cinta fuori.
La donna sbriciolò dei biscotti ed imboccò
il bambino con le sue mani, poi gli versò un
bicchiere d'acqua.
Qui
è mio odore, mie cose.
Anche suo odore pungente, dolce. Lei è qui
con me.
Saliva, fame. Apro bocca, tiro fuori lingua e lei
mette dentro sapore, dolce su punta, salato più
giù, cedevole, morbido.
Mastico, inghiottisco. Ora acqua, fresca, frizza,
scorre.
Di traverso.
Tosse, tosse
Dita dentro mie dita, dita che fanno su e giù,
su e giù, che battono, picchiettano, pizzicottano,
carezzano, stringono. Dita, lisce, morbide, uguali,
profumate.
Sono contento che c'è. Alzo mani su, su verso
lei, verso testa, bocca, globi.
Trema, trema, credo che è stanca. Acqua, acqua
su mie dita, acqua che lecco salata, acqua
Anche
mia madre, a volte, batte sulla mia schiena quando
l'acqua mi va di traverso. Anche mia madre mi carezza,
ma non mi stringe le mani così. Mia madre non
si mette le mie dita in bocca, non lava via il sangue
dai miei polpastrelli con i suoi baci. E non piange
a quel modo.
Adesso al mio fianco c'era mio padre. Non mi ero accorto
neppure che il tagliaerba si era fermato, che il giardino
era di nuovo silenzioso, e che mio padre mi aveva
messo una mano sulla spalla. - Eh, figliolo, certe
disgrazie capitano
Quando mio padre finì il suo lavoro, il sole
stava ormai tramontando. C'incamminammo verso casa
insieme, mano nella mano. Chissà perché,
ora non mi sembrava più tanto arrabbiato.
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