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Il campo di mais
Aguzzando la vista, Henry Main riusciva persino a
vedere i polli che beccavano intorno al fienile. Una
fattoria isolata, di fango, paglia e pezzi di latta,
dopo un'ora di campi sterminati, deserti come la sua
vita, dopo una ricerca estenuante fin quasi a consumare
tutta la benzina.
La sorvolò per la terza volta, a quota sempre
più bassa, il gran sole delle pianure che arroventava
la carlinga, mentre la fusoliera si copriva di cipria
dorata ed i polli laggiù sbattevano le ali
allegri.
Gli uomini come lui, erano tutti nei campi di mais,
a lavorare chini, le schiene zuppe di sudore, le maniche
arrotolate sugli avambracci bruniti. A casa erano
rimaste le donne.
Si slacciò il collo della camicia, perché
era come starci in mezzo, al sole, grande e giallo
al pari di un campo di mais.
Il primo ragazzino sbucò fuori e si fermò
sulla porta. Le fessure degli occhi puntarono inquiete
l'aereo che ormai da troppo tempo volava sulla sua
casa. Gridò qualcosa.
Ecco, pensò Main, adesso usciranno.
Ed, infatti, uno dopo l'altro, vennero fuori anche
gli altri. Due bambini con i piedi nudi, un vecchio
col dito alzato, una bambina con le trecce sfatte,
una donna con un neonato attaccato al seno. Tutti
col naso all'insù, gli occhi sgranati, il palmo
candido delle mani tese verso di lui, come se lo chiamassero,
come se lo aspettassero per cena.
Scese ancora più giù, quasi a sfiorare
il tetto con l'ala, quasi a cogliere le parole sulle
loro bocche, gli avambracci che tremavano nello sforzo
di reggere la cloche. Ormai riusciva a sentirli.
"Madre de dios!" La donna si fece il segno
della croce, il seno scivolò via ed il poppante
prese a strillare.
Henry Main aveva il sole negli occhi, ma poteva ancora
virare, poteva evitarli, poteva risparmiare la casa.
Ma non sarebbe stato giusto. No, per niente.
Tutta la vita aveva atteso, era suo diritto, un suo
sacrosanto diritto.
Lo avevano rifiutato, deriso, abbandonato, quando
invece una donna come quella, bella a quel modo, avrebbe
dovuto allattarlo, cullarlo con amore, oppure stringergli
le gambe intorno ai fianchi, partorirgli dei bambini,
come succedeva agli altri, a tutti gli altri che arrivavano
sempre prima, che avevano sempre una marcia in più.
Tranne che con l'aereo, però, l'aereo era il
suo riscatto, nessun altro sapeva compiere
certi avvitamenti, certe virate, certe picchiate che
strappavano grida d'ammirazione alla folla.
Ma poi ogni volta l'aereo tornava a terra, il tetto
si sollevava con quel rumore che era il rumore
della sconfitta, e la sua vita ridiventava un'unica,
immensa, sterile, distesa di macerie e solitudine.
Henry John Albert Main voleva farla finita, ma non
sarebbe morto senza una famiglia, solo come un cane,
no, non era giusto.
Ruotò e si capovolse sopra di loro. Li vide
spalancare gli occhi, li sentì urlare e provò
gioia, soddisfazione.
Schiacciò la cloche verso il basso, felice
delle grida, felice del sole, dei polli, del fienile,
felice di tutto.
Precipitò avvitandosi lentamente su se stesso,
ammirando quel seno di madre, su cui, finalmente,
stava calando, con amore, con infinito amore.
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