Dona Sol
Neri
capelli come ala di corvo, tentacoli di medusa che
spazzano le assi salate del ponte della Santa Esmeralda,
elettrici, vivi come guizzo di torpedine. La tua
mano, Pedro, me li sfiora, poi scende giù,
fino al gomito esangue. Lascio cadere il colino,
i piselli rotolano sul ponte, i gabbiani s'abbassano
per beccarli.
Il cuore strutto di felicità, intreccio le
mie dita alle tue. - E' Dona Sol che voglio - tu
dici - è Dona Sol che mi piace, non la figlia
di Diego Fuentes.
Non sento più i gabbiani e m'insospettisco.
Guardo giù, vedo il pavimento di casa mia.
Niente assi, niente piselli che rotolano verdi e
duri. Scendo dal letto.
Nello specchio c'è il solito ammasso traballante
di carni marroni, il quotidiano strazio di rughe,
non uno dei capelli del sogno, ma una lanugine che
s'incrosta alle scaglie di sudore.
Affondo le unghie gialle nelle pieghe del viso,
e piango con i miei occhi cisposi, perché
ho sessantaquattro anni, Pedro, e tu ventitré.
Ti ha portato tua madre a calci su per la riva,
dal pontile fino alla Casa, la pancia negra gonfia
di fame, l'ombelico bitorzoluto, le cosce illividite.
Ti ho lasciato nella stalla con tre focacce e la
striglia, e lì sei rimasto, fino a due anni
fa, quando ti ho visto lavarti all'abbeveratoio,
nudo come tua madre ti ha partorito, col ventre
lisciato dalle mie focacce e, fra le gambe, il bastone
flaccido ma promettente, allegro.
Più allegro dei tuoi occhi cupi, dello sguardo
di cane con cui segui la sorellastra Ursula, nata
dal matrimonio di tua madre con Diego Fuentes, e
cresciuta presto sotto questo sole, scalza e fasciata,
che persino suo padre la guarda, quando si china
a prender l'acqua senza mutande sotto la gonna.
Nella stalla vi ho visti, fra paglia ed ombra, le
reni pallide di lei, i tuoi glutei neri, l'onda
di marea che vi sommergeva, l'incestuoso ritmo di
samba sgraziata, il marasma di odori muschiati su
seni, ossa e carni giovani. C'ero anch'io, appollaiata
sullo stipite.
Mi sono tornati in mente gli abbracci domestici,
nella penombra della siesta, quando il Capitano,
risalito il fiume con la Santa Esmeralda, si fermava
la domenica. Fumavamo sul letto d'ottone - il ventilatore
che ci ghiacciava le schiene madide, l'odore di
DDT, le mosche morte nel bicchiere sul comodino
- poi si scendeva a tirare il collo ad una gallina
per cena.
Perfino la più vecchia delle mie galline
ha ancora il suo gallo.
Stamani vorrei alzare le mie gambe anchilosate e
mettermi a cavalcioni su di te, darti lo stesso
piacere che ti dà tua sorella. I miei occhi
scoloriti dal sole, sciacquati dal fiume, ti vedono
come ti avrebbero visto vent'anni fa, ed il cuore
desidera, il corpo si bagna.
Metto il vestito rosso di quando aspettavo il Capitano,
e appanno lo specchio col mio fiato rancido, così
non mi posso più vedere, ma, come nel sogno,
immaginarmi coi fianchi svelti, i piedi d'uccello
tenero, le mani dolci di lisciva.
Ecco, apro anche l'ombrellino da sole. Il pizzo
sfarina come polvere di falena fra le dita, le stecche
sono ammuffite, ma lo tengo su, alto, ritto sulla
mia testa come allora, per te Pedro.
Chiudo gli occhi e, come stanotte, c'è la
luna, le assi scricchiolano salate sotto le piante
dei miei piedi nudi.
Ora non puoi dirmi di no, Pedro.