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La scelta
"Fra non molto chiudiamo, sorella."
La ragazza dei biglietti la fissava dalla sua nicchia,
con le mani guantate. Ma il tramonto non era freddo,
almeno non per lei che amava camminare nell'aria dolce
e pulita. "Non si preoccupi, cara, solo un giro
veloce."
Gli ultimi visitatori si attardavano a scattare foto
lungo la Via Sacra. Lei camminò senza sforzo,
col mezzo tacco d'ordinanza, sui lastroni convessi
e lucidati dal tempo. Negli ultimi tempi, percorreva
quella strada ogni volta che aveva qualche ora libera.
Ecco i faticosi gradini e poi subito su, verso il
tempio di Vesta.
Un poco ansimando, si voltò a guardare da quella
posizione elevata. I rumori del traffico erano attutiti
dall'isola pedonale. A sinistra l'arco, le colonne
scanalate, annerite, a destra le grandi pietre collassate,
su cui i turisti ancora si arrampicavano per mettersi
in posa. Lontana, sullo sfondo, l'imponente mole del
Colosseo.
D'impulso, appoggiò la fronte contro il marmo
di una colonna. Lo sentì tiepido, come di ricordi
assorbiti nelle venature porose.
Voci, uno scalpiccio di zoccoli, un clangore di ruote,
di metalli.
"Licia?"
Licia sussultò, voltandosi a incontrare lo
sguardo severo della superiora. "Che cosa c'è,
Licia?"
Come spiegare l'uggia che teneva in petto, il desiderio
di un'altra vita. "Da quanto sono qui, madre?"
"Quasi dieci anni, il tuo noviziato è
al termine, presto sarai addetta al culto, lo sai."
Licia chinò il capo, sospirando, poi sollevò
di nuovo lo sguardo e lo lasciò vagare sui
tetti rossi di Roma.
"Che c'è che non va?" incalzò
la superiora, "non pensi ai privilegi, all'onore
di servire la Dea che rappresenta la vita stessa della
città? Sei una vestale, Licia, riverita e venerata
da tutti. Anche i magistrati ti cedono il passo."
"Sì, madre e, più di questo, ti
confesso che amo l'idea di sentirmi parte di una comunità.
Ma
"
La superiora si avvicinò, la prese per le spalle
con entrambe le mani. "Il dubbio non ti è
concesso, Licia. Sai cosa accade a chi tradisce. Hai
visto cosa hanno fatto a Drusilla."
Licia rabbrividì, come se l'aria si fosse improvvisamente
gelata. Drusilla, la sua compagna di giochi, quando
entrambe erano entrate nel tempio, all'età
di sei anni. Drusilla dalla risata dolce e squillante,
dal passo veloce. Drusilla era morta, murata viva
dentro una tomba. Perché una vestale non la
si può uccidere, deve morire da sola. Ogni
sera, Licia stentava a prendere sonno, pensando a
Drusilla, alla sua disperazione, a come doveva aver
grattato la pietra fino a scorticarsi le mani, chiamando
aiuto, chiedendo la grazia di un po' d'acqua.
Licia si scosse, si allontanò dalla stretta
della superiora. "Non ci voglio pensare, non
voglio più ricordare, è troppo penoso."
"E allora tieni duro, se non vuoi fare la stessa
fine."
Licia trasalì, fece un passo indietro. Capiva
che la superiora era così dura con lei perché
temeva il suo turbamento.
"Voglio solo il tuo bene, Licia", le confermò,
"pensa che hai delle radici, che appartieni a
questo luogo. Guarda come è bello."
Sì, era davvero bella la luce che riverberava
sui colli infiammati dagli ultimi raggi. Le facciate
imponenti dei templi parevano rifletterla, s'indoravano,
si arrossavano nella dolcezza di quella serata tiepida.
"Sii felice, Licia, sii felice più che
puoi, perché non hai scelta. Credi che anch'io
non abbia sofferto, credi che non mi siano mancate
le braccia di un uomo, la mano di un bambino nella
mia? Ma la nostra è una vita di rinuncia. E
alla rinuncia ci si abitua, Licia. Dopo un po', vedrai,
non brucerà più."
Licia annuì, sentendosi sconfitta e stanca,
stanca come se, sulle giovani spalle, non avesse anni,
ma secoli.
Riaprì gli occhi. Aveva visto e sentito cose
che non avrebbe dovuto vedere, né sentire.
Aveva avvertito le vibrazioni della roccia, i segreti
dolorosi racchiusi nello scrigno del tempo. Prese
in mano il crocifisso che teneva al collo e lo baciò.
"Gesù, credo che tu mi stia parlando attraverso
lei."
Suor Maria fece tutto il percorso a ritroso, fino
all'uscita. Attraversò il varco a testa china,
le mani in tasca, il passo frettoloso. Salì
sul primo autobus che l'avrebbe riportata in Vaticano.
Per tutto il tragitto ripensò a Licia, la giovane
vestale. Non mise in dubbio neppure per un istante
che la ragazza fosse esistita davvero. Troppo vivide
le sensazioni, troppo nitidi i ricordi. In un modo
inspiegabile, qualcosa o qualcuno l'aveva guidata
più e più volte fino al tempio in rovina,
affinché Licia potesse mettersi in contatto
con lei.
E non era un caso, ma un messaggio che nostro Signore
le inviava.
I dubbi, che non l'avevano mai sfiorata quando aveva
pronunciato i voti molti anni addietro, all'età
della giovane vestale, stavano germogliando adesso
dentro di lei. Da giorni, da mesi, sempre più
forti, incalzanti, dolorosi. E non poteva più
negarli, lei che, al contrario di Licia, una scelta
l'aveva.
Due donne, pensò, accumunate da uno stesso
destino. Una giovane pagana consacrata sull'altare
della rinuncia, e una suora di mezza età, preda
dell'abitudine e di gesti meccanici, ormai vissuti
come vuoti di senso e ripetitivi, privi di slancio
autentico.
Mentre scendeva dall'autobus, pensò che, quella
sera, nel chiuso della sua cella, avrebbe meditato
a lungo. Avrebbe chiesto a Gesù l'umiltà
e la forza per guardarsi dentro, per mettersi in discussione
come non aveva mai fatto, per cercare l'autenticità
di vita e di fede alla quale era sempre sfuggita seguendo
binari prestabiliti e forse neppure scelti da lei.
E se questo significava lasciare il seno confortante
della madre Chiesa, lo avrebbe fatto. Avrebbe riflettuto
e pregato fino a sfinirsi, fino a spellarsi le ginocchia
sul legno, per capire se ancora c'era una via d'uscita.
L'avrebbe fatto per suor Maria. E per Licia.
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