|
Rischia
volutamente l'insofferenza del lettore, Giuseppe
Benassi, in questo "Omicidio a Calafuria
e altri putiferi", giallo destrutturato,
senza inchieste e senza deduzioni logiche, ambientato
in una Livorno dove di vero ci sono solo strade
e monumenti, popolato da un sottobosco di personaggi
erotomani che praticano orge e scambi di coppia.
Sull'omicidio di Filippo Bondelli - rampollo di
famiglia nobiliare con villa ad Antignano, trovato
morto, nudo e unto d'olio, sugli scogli sotto
la torre di Calafuria - indaga l'avvocato Borrani,
personaggio sgradevole, cinico, irriverente, dalla
sessualità volgare e dionisiaca. Borrani
getta in padella pesci vivi per il gusto di osservarli
mentre guizzano e si contorcono, prova soddisfazione
alla vista di un gatto spiaccicato sull'asfalto,
è profondamente misogino, non ama il suo
mestiere né i colleghi avvocati, non ama
l'umanità e il suo prossimo, fa e dice
cose che c'infastidiscono perché sappiano
vere.
"Si vede che siamo proprio dei fuscelli
al vento basta un niente e diventiamo diversi
io per esempio non ho ancora capito se sono un
uomo serio o un buffone se sono intelligente o
un coglione" (pag 71)
Attorno all'omicidio si muove una folla di caratteri
che sembrano usciti dalla Torino di A che punto
è la notte di Fruttero e Lucentini o dalla
penna di un Dickens iperrealista. |
Personaggi
di cui seguiamo il flusso di coscienza in lunghi
capitoli che non sviluppano la trama ma la attorcigliano
su se stessa senza sbocco, in modo involuto. La
maga Gilda aleggia su tutta la storia senza mai
concretizzare il suo peso nell'intreccio, attempato
travestito che legge i tarocchi alle madame con
le quali un tempo copulava. Silvana Oldini, la
fidanzata casta del morto, sembra appartenere
a una poesia del suo amato Gozzano, sorta di signorina
Felicita d'altri tempi, incarnazione del femminino
puro cui tutti i libertini in fondo tendono, donna
irraggiungibile, angelicata, stilnovista. Solo
a lei, alle sue lettere appassionate, sono affidati
gli unici momenti lirici di tutta la storia. Mafalda,
la madre del giovane praticante dell'avvocato,
vive persa nelle sue credenze esoteriche che vanno
dagli angeli alla New Age. Artemisio Cocci, scultore
blasfemo e dissacrante sta per partecipare alla
biennale di Venezia. Marcello, il praticante senza
stipendio, è alla disperata ricerca di
una ragazza. C'è, più in generale,
una folla fatta di avvocati, pretori, giudici,
giornalisti, una moltitudine ghignante, onirica,
oscena come in un quadro surreale.
E per cercare chi ha ucciso Bondelli, si riflette
sulla reliquia del santo prepuzio, sulla possibile
clonazione di Gesù, sull'energia vitale
della Kundalini, sull'astrologia, sulla musica
e sulla pittura.
I capitoli hanno stili diversi, come se Benassi
stesse ancora cercando il suo e ne sperimentasse
più di uno, anche per mostrarci la sua
versatilità. Dal lirismo delle lettere
di Silvana, si passa alla mimesi ironica del linguaggio
della critica e del giornalismo. Grande spazio
è dato a fitti ed estenuanti dialoghi,
ricchi di giochi di parole, di aforismi quasi
wildiani, "sposarsi vuol dire prendere una
persona e farla diventare la peggiore delle nostre
abitudini", di botta e risposta da teatro
dell'assurdo, di volgarità scatologiche
e ironiche citazioni colte, fra narrazione in
terza persona e flusso di coscienza, fra presente
storico e passato, in un tentativo di riscatto
da una perenne, frustrante, alienazione dal resto
del mondo. Borrani è descritto per sentito
dire, "c'è chi dice che", ma
anche, e soprattutto, tramite il suo incessante
monologo interiore.
"E stare ore a pescare non vuol dire per
l'avvocato cercare di prendere pesci, vuol dire
stare ore a vedere nel galleggiante una parte
di sé che vaga fra l'aria, l'acqua del
fiume, l'acqua del mare. Vuol dire inebetirsi
nel sole del pomeriggio, dimenticarsi di sé
e del mondo e raggiungere uno stato animale, una
consistenza di vegetale, una natura minerale."
(pag 22) |
VEDI
ANCHE OCCHI
SENZA PUPILLE, L'ULTIMO LIBRO DELLO SCRITTORE
GIUSEPPE BENASSI
|