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Quando
piazza Grande era una
grande Piazza
di Ennio Allegri E’ sempre difficile parlare o scrivere di ciò che non si conosce. Ve lo immaginate un analfabeta che discute di letteratura a commenta la Divina Commedia? Spesso la non cultura dell’essere analfabeta condiziona anche la persona dal punto di vista della sensibilità nei confronti di tut to ciò che è arte, pensiero, filosofia e armonia. Vittorio all’epoca era un ragazzotto di circa dodici anni che non conosceva assolutamente nulla della musica, figuriamoci le note. Solo in pochissime occasioni era riuscito ad ascoltarla alla radio, perché anche questo era un privilegio per pochi. Quel pomeriggio era uscito di scuola e si era diretto verso il Voltone dove, arrivato dopo pochi mi nuti, si ritrovò davanti la piazza tutta piena di gente. Dall’altra parte dei fossi c’era una tribuna, sul la quale si trovava in divisa la Banda della Marina Militare. Incuriosito si fermò e chiese ad una vecchietta a lui vicino cosa stesse accadendo. La risposta fu secca e senza mezzi termini: “Ma da dove vieni, che non sai niente? Dalla luna...? Resta qui che tra poco sentirai suonare, così imparerai qualcosa anche te e vedrai che ti farà pure bene”. Intimido Vittorio non ebbe il coraggio di muoversi, anche se avrebbe preferito raggiungere gli amici. Qualcuno dalla tribuna annunciò: “Dall’Iris di Mascagni, l’Inno al Sole.” E L’orchestra iniziò a suonare. “E chi è questa Iris - pensava - io non l’ho mai sentita nominare.”Poco a poco si sentì avvolgere da una sensazione strana: non solo udiva la musica ma sembrava che questa gli entrasse nel sangue e da li arrivasse a tutto il resto del suo corpo: al cuore, al cervello, ai polmoni... Dappertutto. Ed infine sentì il suo corpo come se non avesse più peso, lo sentì alzarsi e... Volare. La musica era arrivata all’anima, aveva toccato i suoi pensieri e i suoi sentimenti. Il ragazzo chiuse gli occhi e si ritrovò in cielo. Era a cavallo di una cicogna che in quel cielo azzurro e limpido, guardandolo, le diceva: “Stai tranquillo, tu non hai più dodici anni. Sei nato ora. Dimenticati della guerra, della fame, della paura. Dimenticati di quei morti che hai visto, con la testa sfondata, la pancia sventrata, gli arti mutilati, abbandonati per strada, in mezzo ad una pozza di sangue. Dimantica le case distrutte, le strade divelte. Dimentica tutto perché io ti sto portando in un altro mondo: dove la guerra non esiste, dove tutti sono liberi e possono pensare e parlare di ciò che vogliono, dove si può studiare e lavorare, dove nessuno soffre la fame e la sete e dove si può amare ed essere amati. Il ragazzo a quel punto aprì gli occhi e vide che tutti guardavano in via Grande, non c’era più il sole ma questa volta era tutto illuminato a festa. La via non era più distrutta come qualche istante prima; poteva vedere tutti i palazzi nuovi, meravigliosi, in stile liberty, con i portici anch’essi illuminati dove la gente passeggiava felice guardando le vetrine di tutti i negozi aperti. Nella piazza Grande anche il Duomo era illuminato e splendeva nella notte mentre le campane suonavano a festa. Intorno al monumento a Vittorio Emanuele II, una grandissima aiuola di fiori colorati di ogni varietà immersi nel verde ed ancora una fontana che in mezzo a tante altre aiuole, gettava la sua acqua verso l’alto di diversi metri acqua che, ricadendo verso il basso, formava con le luci poste a terra uno strano movimento di colori. Sulla scalinata del Comune, in fondo alla Piazza, l’Orchestra aveva finito di suonare l’Inno al Sole ed intonava il Coro del Nabucco dell’Aida di Giuseppe Verdi. Improvvisamente il silenzio, poi un’ovazione irresistibile della folla in delirio. Vittorio si ritrovò sul Voltone da dove era partito. Si guardò intorno: uomini e donne, giovani e vecchi avevano tutti gli occhi umidi. Solo la vecchietta accanto a lui piangeva. Lei si voltò, lo guardò e abbracciandolo come se fosse suo nipote gli disse: “Quello che hai provato oggi, ricordalo tutta la vita. Ricordati sempre le emozioni, la gioia, la speranza, la certezza di una vita migliore, l’amore per tutto ciò che ti circonda così come questa musica ti ha trasmesso.” Così dicendo, se ne andò, lasciando il ragazzo di nuovo solo, inebetito, ma di certo cambiato nel pensiero e nei sentimenti. Passarono quasi vent’anni dove Vittorio se ne andò in giro per il mondo, prima con la famiglia, poi da solo. Portava sempre dietro il ricordo di quel giorno e l’amore per la sua città, per i suoi amici e la speranza di poter un giorno ritorna re e rivedere quella meravigliosa via Grande con quella incredibile Piazza da sogno. Arrivò il giorno in cui fece ritorno. Corse subito sul Voltone per rivedere la via Grande. La sua bocca non proferì parola. Guardò esterrefatto quei palazzi squadrati, anonimi, con quelle finestre piccole. Palazzi che potevano essere in qualsiasi altra città, in qualsiasi altra parte del mondo da non essere neppur notati per quell’assenza totale di gusto, senza nulla di architettonico. E piazza Grande? Era sparita. Non c’era più il monumento al Vittorio Emanuele; non c’erano più le aiuole con i fiori e le fontane d’acqua colorate. Nel mezzo era bastato un solo palazzo a cancellare tutto quello che un tempo era... Piazza Grande. Squadrato, anonimo, inclassificabile. Qualcuno disse a Vittorio: “lo hanno chiamato ‘il Nobile Interrompimento’ ”. Vittorio non rispose, non disse che l’unico aggettivo accettabile per indicare l’interrompimento sarebbe stato ‘Ignobile’. Quando si decise a lasciare la via Grande aveva gli occhi umidi come quel giorno sul Voltone, quando fu abbracciato dalla vecchietta. Ma quei signori che avevano progettato e tutti gli altri che avevano approvato quella ricostruzione della Via e della Piazza Grande, avevano mai ascoltato l’Inno al Sole di Mascagni ed il Coro del Nabucco di Verdi, suonati dalla Banda della Marina Militare, li, sul Voltone?. |
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Edizione
IL QUINTO MORO
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