I
fratelli Sgarallino e Bartelloni (clicca)
L'edizione
straordinaria
del quotidiano dell'epoca
Sulle
lapidi simbologie più frequenti:
la Croce
la
falce e il martello
la
Stella di David
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Chiedendoci
se all'ombra dei cipressi e dentro l'urne confortate di
pianto sia forse il sonno della morte men duro oppure
no, c'inoltriamo nel Cimitero dei Lupi, o Cimitero Comunale
La Cigna, oggi ai margini dell'area portuale ed industriale
della città di Livorno, vicino al torrente la Cigna,
appunto, in località Santo Stefano dei Lupi. La
zona prende nome dalla gronda dei Lupi, una vasta area
che in epoca medievale si estendeva da Pisa al villaggio
labronico, cosiddetta dalla famiglia possidente. È
stato proprio l'editto di San Cloud, del 1804, cui fa
riferimento Foscolo nel Carme "I Sepolcri",
insieme ad una concomitante epidemia di febbre gialla,
a decretare la nascita del nuovo cimitero.
È
un pomeriggio di settembre, l'aria ferma e calda. Notiamo
subito le baracchine dei fiori rinnovate, prima di superare
l'ingresso. La Camera mortuaria è affollata, ahimè,
sia di morti sia di vivi, ogni giorno c'è sempre
qualcuno che se ne va e qualcuno costretto a piangere.
La chiesetta di San Tobia (XIX sec) ci accoglie con i
suoi muri spogli e un paio di quadri cupi ma gradevoli.
Progettato dall'architetto Riccardo Calocchieri, completato
da Pampaloni e Diletti, ampliato infine da Unis, il camposanto
fu benedetto nell'ottobre del 1822. Ulteriori trasformazioni
si ebbero a partire dal 1910 fino ai giorni nostri. È
costituito principalmente da tombe a sterro.
A parte la piccola folla raccolta davanti all'obitorio,
il luogo è deserto. Riflettiamo su quanto il culto
dei morti vada scemando nelle generazioni attuali e su
come, venuti a mancare quei vecchi che facevano del cimitero
una meta bisettimanale, in futuro quasi nessuno più
attraverserà il viale monumentale che collega l'ingresso
al porticato classicheggiante aggiunto da Unis. La navetta
che dovrebbe trasportare anziani e disabili gira a vuoto
fra i cipressi. Ci colpisce il silenzio, il senso di pace
(eterna).
La prima parte del viale è la più antica
e quella meglio tenuta, ricca di monumenti risalenti all'ottocento
e al primo novecento. Spicca la tomba di Andrea Sgarallino
(1935-1887) il quale ebbe a bandiera patria e lavoro.
Patriota insieme al fratello Jacopo, iscritto alla Giovane
Italia di Mazzini, si distinse nella difesa di Livorno
dall'assedio austriaco nel 1949. Proprio da Santo Stefano
ai Lupi, alle sei del mattino del 10 maggio, si udirono
i primi cannoneggiamenti austriaci. L'11 maggio era già
tutto finito. Solo alcuni decenni dopo, i resti dei livornesi
fucilati furono trasferiti ai Lupi, dove Lorenzo Gori
scolpì un monumento commemorativo.
Come i fratelli Sgarallino, incontriamo anche Oreste Franchini,
che ebbe per maestro Mazzini e per duce Garibaldi e le
cui ceneri ancora attendono l'avvento dell'ideale che
fu tutta la sua vita.
C'imbattiamo in nomi noti, come Cesare Alemà, il
cui monumento è sovrastato da berretto garibaldino,
baionetta, spada, bandiera, tromba, foglie di alloro;
Enrico Bartelloni; Francesco Chiusa; Giuseppe Ravenna
e altri personaggi del risorgimento italiano ma anche
della lotta antifascista, come Ilio Barontini e Vasco
Jacoponi.
Ogni tomba monumentale ha la sua storia da raccontare,
le sue lacrime e la sua memoria. Ci piace ricordarne una
fra le tante, di sicuro meno conosciuta, quella costruita
nel 1919 per Emma Zigoli.
Emma aveva diciotto anni e tutta la vita davanti, quella
sera, mentre, agghindata a festa, allegra e spensierata,
si recava a ballare nella sede del Partito Repubblicano,
pregustando il divertimento, i chiacchiericci con le amiche,
gli sguardi ammirati dei corteggiatori. Ma ci fu una sparatoria
davanti al Partito e un proiettile la colpì, uccidendola.
Il partito fece costruire il monumento in onore della
vittima incolpevole fulminata la sera del 10 settembre
1919 per umana follia delittuosa e da allora custodisce
le salme di tutti gli Zigoli, del fratello Toselli - che
cadde eroe sul Montello respingendo l'eroico invasore,
e che di certo portava il suo destino scritto nel nome,
chiamandosi come l'eroico maggiore morto per difendere
la postazione italiana sull' altipiano dell'Amba Alagi
- di Giuseppe, di Barbara - diventata cieca, si narra,
dal gran piangere la morte dei figli - di Natale, di Esmeraldo
- che tutti chiamavano solo Smeraldo e, chissà
perché, la E del nome sulla lapide continua sempre
a cadere.
Ci colpisce il Cristo effigiato da Giacomo Zilocchi per
la famiglia Soriani, e il monumento alla imperitura e
gloriosa memoria dei livornesi morti a Mentana, ma anche
la tomba che aspetta la salma del giovanetto ventenne
Alfredo Z. che colpito da contagioso malore giace in terra
straniera ove vige una legge che vieta per dieci anni
l'esumazione. Morto a Marsiglia nel 1882. Ci chiediamo
se il giovanetto è poi mai tornato a casa.
Inoltrandoci lungo il viale, i monumenti si fanno più
maestosi e insieme più moderni, riconosciamo i
nomi di tante famiglie note a Livorno in campo commerciale
e portuale, dai Fremura, ai Debatte, ai Tanzini ai La
Comba. Alcune tombe presentano simboli laici e religiosi
diversi, dalle menorah, i candelabri ebraici a sette braccia,
a disegni massonici.
Il cimitero ospita anche i sacrari che raccolgono le spoglie
dei partigiani, dei caduti della guerra 1915-1918, delle
vittime civili e militari del secondo conflitto mondiale
e dei militari italiani e inglesi morti nell'incidente
aereo del 1971, quando, il 9 novembre, un aereo inglese
della R.A.F cadde in mare al largo della Meloria col suo
carico di giovani parà italiani.
Tanti nomi scorrono sotto i nostri occhi, soldati che
hanno perso la vita combattendo, civili morti sotto i
bombardamenti, come la ventitreenne Lora, ma anche lapidi
in ricordo di morti ignoti a noi ma noti a Dio.
Il "Quadrato dei Francesi" costituisce l'area
delle tombe dei soldati caduti durante la Grande Guerra,
alcuni dei quali di origine musulmana. Le salme sono allineate,
i cattolici hanno una croce mentre i musulmani un arco.
Ma si vede che questi morti erano destinati a non riposare
in pace, che l'orrore della guerra doveva inseguirli anche
nell'al di là, se nel settembre del 1943 "una
bomba di grosso calibro ha distrutto 34 su 54 delle tombe",
e i resti sono raccolti ora sotto un'unica lapide.
L'immagine di pace e gradevolezza, di camposanto ben conservato,
scema man mano che ci avviciniamo al loggiato. Giungiamo
all'intercolonio, sotto il porticato di Unis, che ospita
notevoli opere marmoree apuane. Qui regnano abbandono
e degrado, i piccioni hanno imbrattato con i loro escrementi
il pavimento e le tombe; tutto è decadenza, disfacimento,
vediamo segnali di lavori in corso che sembrano non progredire
mai. Fuggiamo assaltati da sciami di zanzare provenienti
dal vicino torrente. Preferiamo il mese di novembre, quando
i cieli sono solcati da nugoli di stormi che disegnano
ghirigori fra i cipressi.
A est sorge il nuovo complesso di loculi, molto ben tenuti,
al contrario delle logge; verso sud troviamo Tempio Cinerario,
un'imponente struttura monumentale realizzata nei primi
anni del novecento per conto della Società di Cremazione.
Chi ha visto cremare un proprio caro, sa cosa si prova
quando la bara entra nel forno, scorrendo sul carrello,
e quando poi, a operazione ultimata, l'addetto ti porge
un pennello col quale raccoglierti da solo la cenere del
tuo estinto.
Cartelli affissi sui colombari ci informano che gli ossari
hanno durata di trenta anni mentre i loculi di cinquanta,
dopodiché si procederà all'estumulazione
d'ufficio e alla dispersione di resti e ceneri in ossari
comuni, ma il pensiero sul momento non c'inquieta.
Altre aree del cimitero sono dedicate alle diverse comunità
religiose e nazionali presenti a Livorno, come il "Quadrato
degli Evangelisti".
Il "Quadrato dei Valdesi" e il "Quadrato
dei Turchi" sono due cimiteri preesistenti inglobati
nel sepolcreto attuale, che copre 110.000 mq e ospita
circa 190.000 salme. Nel riquadro turco ci colpiscono
le scritte in arabo e la tomba di Memet Neyal turco nativo
di Alessandra d'Egitto modello di pubbliche e private
virtù cittadine disinteressato usò le sostanze
a protezione degli amici. Ci rincresce scoprire che morì
nel 1846.
Un arco del 1893 accoglie i nomi di tutti i livornesi
che prestarono servizio nelle schiere di Garibaldi, alcuni
dei quali sono sepolti sotto lapidi ornate dal berretto
garibaldino. Se questi morti ci suscitano rispetto e interesse
storico, fanno invece accapponare la pelle quelle di ragazzi
mancati nel fiore degli anni, ricoperte di peluche, di
vecchi giocattoli rovinati dalle intemperie, di biglietti
ingialliti di fidanzatine, di gagliardetti amaranto.
Con questo triste pensiero ci avviamo all'uscita, ma prima
ci soffermiamo di fronte alla lapide dedicata a Bruna
Barbieri, detta la Ciucia, popolana forte, generosa, sempre
pronta a donare, a prendere per subito dare, piena di
passione, di slancio, antifascista ma benvoluta persino
dai suoi nemici che ne riconoscevano la forza, l'innocenza
selvaggia. La lapide è stata fortemente voluta
dalla pronipote Tiziana e così recita
"In ricordo di Bruna Barbieri detta La Ciucia. Nata
e vissuta nel rione della Venezia, anima pura, cuore generoso,
esempio di rara generosità, dispersa tra le atrocità
dell'ultima guerra".
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