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Patrizia
Poli presenta
Giosuè
Borsi |
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Giosuè
Borsi (1888 - 1915) nacque a Livorno, nella casa
di via degli inglesi. Dovette il suo nome al Carducci,
amico del padre. Studiò al liceo classico
Niccolini Guerrazzi e si laureò a Pisa.
Cominciò a poetare presto, con versi, manco
a dirlo, d'ispirazione carducciana. In un periodo
di sperimentazione e di avanguardia come quello,
la sua posizione si attestò su forme tradizionali,
classicheggianti, imitatorie.
Scrisse commedie, novelle, racconti per l'infanzia,
ma anche pezzi critici e giornalistici. Suo padre
fu direttore de "Il Telegrafo", prima,
e del "Nuovo giornale" di Firenze poi.
Con lo pseudonimo di Corallina, fu cronista e
confezionò pezzi come inviato sul terremoto
di Messina e sulla biennale d'arte di Venezia.
Era elegante, molto ricercato nei salotti, fece
vita dissoluta di cui poi si pentì. Ebbe
successo come conoscitore e fine dicitore di Dante.
Ma la morte del padre e della sorella Laura lo
gettarono nello sconforto, al punto che, quando
morì anche l'amatissimo nipotino, figlio
di Laura, Giosuè tentò il suicidio.
Pur essendo cresciuto in ambiente anticlericale
e agnostico, le sventure della vita lo orientarono
verso il cristianesimo. Divenne terziario francescano,
cioè un laico che s'impegna a vivere nel
mondo lo spirito di San Francesco.
Fra il 1912 e il 13 scrisse Le confessioni di
Giulia, dedicate alla donna amata, intesa in versione
angelicata e dantesca.
Fu interventista nella prima guerra mondiale perché
considerava la morte sul campo come l'espiazione
di una vita di peccato. |
Pochi
giorni prima di morire, scrisse una lettera
alla madre, considerata il suo più
alto momento letterario.
"Tutto dunque mi è propizio",
diceva, "tutto mi arride per fare
una morte fausta e bella, il tempo, il luogo,
la stagione, l'occasione, l'età.
Non potrei meglio coronare la mia vita."
"Sono tranquillo, perfettamente
sereno e fermamente deciso a fare tutto
il mio dovere fino all'ultimo, da forte
e buon soldato, incrollabilmente sicuro
della nostra vittoria immancabile. Non sono
altrettanto certo di vederla da vivo, ma
questa incertezza, grazie a Dio, non mi
turba affatto, e non basta a farmi tremare.
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Sono
felice di offrire la mia vita alla Patria, sono
altero di spenderla così bene, e non so
come ringraziare la Provvidenza dell'onore che
mi fa.
Non piangere per me mamma, se è scritto
lassù che io debba morire. Non piangere,
perché tu piangeresti sulla mia felicità.
Prega molto per me perché ho bisogno. Abbi
il coraggio di sopportare la vita fino all'ultimo
senza perderti d'animo; continua ad essere forte
ed energica, come sei sempre stata in tutte le
tempeste della tua vita; e continua ed essere
umile, pia, caritatevole, perché la pace
di Dio sia sempre con te. Addio, mamma, addio
Gino, miei cari, miei amati."
Riuscirà nel suo intento: morirà
in un assalto a Zagora. Nella sua giacca, insieme
a medaglie insanguinate, saranno ritrovate una
foto della madre e la Divina Commedia. |
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