Gastone
Biondi.
Storia e segreti del ponce al rumme
Ermanno
Volterrani - Debatte editore, 2012
Atmosfera
calda in una giornata fredda, sabato 8 dicembre,
al bar Civili. Lo scrittore Ermanno Volterrani
- noto in ambiente livornese soprattutto per la
sua rivalutazione del vernacolo in raccolte di
poesie come "La mia amica triglia",
ma autore anche di testi in italiano, fra cui
spicca il commosso racconto delle vicende vissute
dal padre durante la guerra in Albania - ha presentato
la sua ultima fatica, la biografia romanzata di
Gastone Biondi.
Hanno collaborato alla stesura del testo la figlia
di Gastone, Caterina, e Otello Chelli, figura
di spicco della cultura e tradizione livornese
che ha scritto la prefazione del libro.
Gastone Biondi era il proprietario della famosa
fabbrica di liquori Vittori che produceva, e ancora
produce - anche se adesso è stata rilevata
dall'Arcaffè - il rum fantasia, lo speciale
ingrediente per la preparazione del ponce al rum,
anzi, al "rumme", non confondiamo per carità!
Le origini della bevanda sono incerte, la leggenda
vuole che nel seicento alcune balle di caffè,
provenienti da una nave saracena deviata dai cavalieri
di Santo Stefano, si confondessero con barili
di rum. La mistura, invece di rovinare entrambi
gli elementi, li esaltò. In realtà
pare che l'ammiraglio Edward Vernon, della marina
inglese, per evitare l'ubriachezza dei suoi uomini,
ordinasse loro di annacquare il rum ed essi, per
obbedire, lo bevessero col tè, creando
la base per il grog. I livornesi sostituirono
il tè col più reperibile ed economico
caffè, mantenendo la tradizione "della
vela", la fettina di limone a cavallo del
bicchiere, spesso utilizzata per igienizzarne
il bordo ma poi, ahimè, lasciata cadere
nella mistura, con l'idea che "quel che non
ammazza ingrassa."
Il ponce bollente va bevuto nel gottino, il bicchiere
di vetro, tenendolo fra due dita per il fondo
spesso, altrimenti ci si ustiona. Insomma, come
ci spiega Ermanno, va preso per i fondelli.
Il
nome deriva dall'inglese punch che, a sua volta, risale
all'hindi pancha, cioè cinque, come cinque
sono gli ingredienti della bevanda.
Il ponce, inglese come il rum e arabo come il caffè,
era la bevanda prediletta prima della guerra, metafora
stessa della livornesità, incrocio d'identità
in questa città meticcia, fusione d'ingredienti
apparentemente inconciliabili fra loro. Non c'era
giorno che i livornesi non bevessero almeno una volta
il ponce che è sempre stato parte della nostra
tradizione.
Nelle cronache del settecento e dell'ottocento (ci
spiega Otello Chelli) c'era una vera e propria corsa
a creare il ponce migliore e i produttori vi mettevano
dentro di tutto, dal caramello ai grani di pepe. I
bar erano luoghi di aggregazione per il popolo, dove
si discuteva e si familiarizzava ed anche salotti
intellettuali. Vi passavano il tempo Francesco Domenico
Guerrazzi e Angelica Palli, Fattori, Natali, Modigliani,
soprattutto nel celeberrimo caffè Bardi.
Il ponce è citato nell'Artusi come degno accompagnamento
del cacciucco, si dice che abbia fatto venire i lucciconi
addirittura al rude Buffalo Bill, e il Carducci così
ne scrive:
"Di nero ponce bevemmo e con saper profondo, non lasciammo
giammai tazza o bicchiero senza vedere il fondo."
Livorno era la città dei cento teatri, ma anche
dei cento e ventitrè bar, siamo stati noi a
costruire le prime macchine per il caffè, che,
a quei tempi, erano torri di rame lucente "Nella sola
Venezia", ci dice Otello, "ai miei tempi si trovavano
diciassette fiaschetterie e la bevanda d'elezione,
dopo il vino Sammontana, era, ovviamente, il ponce,
capace di stimolare quello spirito livornese, quel
motto salace, quella battuta fulminea che oggi si
sta perdendo e stemperando."
In piazza Vittorio Emanuele c'era un bar, detto "Il
Diacciaio" perché si trovava di fronte a un
albergo freddissimo, che vendeva il ponce peciato,
cioè annerito da un pizzico di pece. In piazza
Cavallotti nessuno rinunciava alla mattutina "persiana"
- acqua fredda, menta e anice - per smaltire le sbornie
della sera precedente, poi, già alle dieci,
per accompagnare un pezzo di schiacciata col prosciutto
o la mortadella, niente di meglio che il primo ponce,
per passare subito a quello digestivo del dopopranzo
e agli immancabili ponci notturni .
Negli anni cinquanta, però, il ponce era decaduto
ed è stato proprio Gastone Biondi a riportarlo
ai fasti di un tempo.
È con la voce rotta dall'emozione che la figlia
Caterina ci racconta come il libro sia nato per caso.
Dieci anni dopo la morte del padre, ha riaperto due
scatole, trovandovi dentro un mondo di ricordi che
l'hanno riportata a quando, bambina, giocava nella
fabbrica del babbo, assorbendo odori, assimilando
voci, giocando con le vecchie fatture insieme alle
amichette, finché quel gioco si è trasformato
in passione e mestiere anche per lei che ha lavorato
per tanto tempo gomito a gomito col padre.
Gastone Biondi è rimasto orfano a nove anni,
ha studiato e lavorato fino a iscriversi all'università
e trovare posto in banca. Ma l'incontro con la moglie,
i cui parenti possedevano la fabbrica dei liquori,
è stato fatale, perché fu amore in entrambi
i casi, fino a fargli lasciare l'appetibile lavoro
di bancario per occuparsi a tempo pieno della fabbrica,
nata nel 1929 e che lui ha rilevato negli anni cinquanta,
trasformandola in ditta Vittori di Biondi.
A Livorno, in quegli tempi, la concorrenza era tanta,
c'erano venti distillerie e cominciavano a imporsi
i liquori di marca, ma Gastone ha puntato sulla qualità,
sugli ingredienti migliori per la produzione del suo
rum fantasia. "Veniva", racconta la figlia, "dal vecchio
Gigi Civili con i campioncini del liquore per farlo
testare." Ne ha voluto ridefinire l'identità
livornese anche tramite le etichette.
Otello Chelli ci racconta di aver conosciuto il Vittori
quando, con la famiglia, dopo la deportazione, era
"ospite" di una colonia adattata a campo profughi.
Qui il giovane Otello trafficava con gli americani
che chiedevano gin e lui lo comprava nella distilleria
Vittori, riuscendo così a mantenere tutta la
famiglia. Ha poi avuto molti contatti anche con Gastone
Biondi.
Per
concludere, riportiamo la poesia che Ermanno,
l'autore del libro, ha recitato meritandosi il
caloroso applauso della platea.
'R
ponce alla livornese, un lo sai fa'?
Un ti preoccupa', t'insegno io!
Prendi 'n bicchiere,
un po' più grosso di velli da caffé,
basta 'he c'abbi 'r fondo bello doppio:
per un bruciassi ' diti,
'r ponce, è risaputo,
va bevuto prendendolo dar fondo,
insomma…
va preso per ir culo.
Per benino scardi 'r bicchiere 'or vapore,
un cucchiaino di zucchero… abbondante,
'na scorza di limone fa da vela
e rumme, Fantasia, nun ti sbaglia',
'r Bacardi e 'r Pampero un vanno bene!
Ci vole la bevanda der Vittori,
l'intruglio 'he 'r ragionier Gastone 'r Biondi
ha 'nventato un fottio di tempo fa.
Dunque, torniamo a bomba:
di novo scardi 'r rumme finché bolle
e ner finale,
riempi 'r bicchierino di 'affé,
di vello forte a bestia!
Se poi pensi 'he t'aggradi,
l'ingredienti poi adatta' ar gusto personale,
mischiando sassolino o cognacche Tre Stelle
e 'r resurtato 'ambia po'o o nulla:
a garganella l'aromati'o ponce
ir gargarozzo ti solleti'erà.