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Patrizia Poli presenta:
Giorgio Caproni
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"Livorno, quando lei passava,
d'aria e di barche odorava"
Giorgio
Caproni (1912 - 1990) è nato a Livorno e
da noi ha ambientato le sue poesie più belle,
quelle dedicate alla madre, Anna Picchi, Annina,
denominate Versi Livornesi nella raccolta Il seme
del piangere del 1959.
Dal 22 si trasferisce a Genova, e poi a Roma. Fa
il commesso, l'impiegato e il maestro elementare.
Le sue prime prove sono rifiutate dagli editori,
gli viene detto di "aver pazienza", gli
si fa capire che la poesia non è cosa per
lui. Ma insiste, oltre alle poesie scrive critica
letteraria, recensioni e traduce dal francese "Il
Tempo ritrovato" di Proust, "I fiori del
male" di Baudelaire, "Bel-ami" di
Maupassant e, ancora, Celine e Apollinaire.
Anche quando la fortuna letteraria gli arriderà
e vincerà numerosi premi importanti, si terrà
sempre appartato e lontano dai salotti, chiuso nel
suo dolore esistenziale frutto di numerosi traumi,
come la morte per setticemia della prima fidanzata
e le sciagure della guerra.
Scrive anche saggi e opere narrative ma la sua produzione
più alta si concentra nella poesia. Le sue
raccolte più famose sono Cronistoria (43),
Le stanze della funicolare, (52), Il passaggio di
Enea, (56), Il seme del piangere (59).
Ci sono tre tempi nella poesia di Caproni, il primo
è macchiaiolo, carducciano, contiene una
traccia dei primitivi toscani e di certi modi cavalcantiani
e stilnovistici privi, però, d'idealizzazione
spirituale. Ne è un esempio la poesia che
segue:
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LA GENTE SE L'ADDITAVA
Non c'era in tutta Livorno
un'altra di lei più brava
in bianco, o in orlo a giorno.
La gente se l'additava
vedendola, e se si voltava
anche lei a salutare,
il petto le si gonfiava
timido, e le si riabbassava,
quieto nel suo tumultuare
come il sospiro del mare.
Era una personcina schietta
e un poco fiera (un poco
magra), ma dolce e viva
nei suoi slanci; e priva
com'era di vanagloria
ma non di puntiglio, andava
per la maggiore a Livorno
come vorrei che intorno
andassi tu, canzonetta:
che sembri scritta per gioco
e lo sei piangendo: e con fuoco.
C'è
poi una fiammata lirica e neoclassica in Cronistoria e
ne Il passaggio di Enea ed infine una progressiva scarnificazione
e perdita di lirismo, come se, col passare degli anni,
la parola fosse ormai un peso.
"Il rumore della parola, ad un certo punto, ha cominciato
a darmi terribilmente fastidio".
La ricerca è tesa alla semplificazione, il verso
s'impasta di aulico e prosastico insieme, oscilla fra
cantato e parlato (e in questo richiama la linea ligure,
in particolare Sbarbaro.) Si rifà comunque a un
filone preermetico, alla musicalità descrittiva
di Saba e alla metrica di Pascoli. Consapevolmente antinovecentesco,
Caproni rifiuta i giochi puramente sintattici e concettuali.
Vuole una poesia fatta di bicchieri, di stringhe, di cose
della vita quotidiana, il suo è un impressionismo
che evita l'idillio e il compiacimento elegiaco, anche
la sintassi si riduce all'essenziale mentre sono gli oggetti
a prendere corpo.
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L'architettura e il controllo della metrica entrano in contrasto
con l'urgenza vitalistica, espressa spesso dagli esclamativi
iniziali, il periodo non si esaurisce nel verso ma deborda
nell'enjambement, il versificare si fa spezzato, rispecchiando
l'anima del poeta che tenta di afferrare una realtà
sfuggente. Caproni ricorda in questo i Virginia Woolf, il
suo senso di crescente insoddisfazione, la sfiducia nella
possibilità che la parola riesca a rappresentare
davvero le cose.
"Nessuno è mai riuscito a dire
Cos'è, nella sua essenza, una rosa."
Detesta la logorrea, i versi lunghi. "L'ideale",
afferma, "sarebbe arrivare a scrivere una parola sola,
o meglio, andare oltre la parola". La parola ha per
lui valenza negativa, perché limita, è simulazione
della realtà. La parola è oggetto essa stessa
e, ammesso che la realtà esista, non si può
conoscere un oggetto con un altro oggetto.
Caproni usa la rima, l'allitterazione, l'assonanza, l'anafora
(ripetizione di parole o espressioni), la prosopopea (quando
si fanno parlare animali, oggetti, defunti) e la punteggiatura
con valore ritmico. La sua resta un'operazione letteraria
e l'assoluta identità fra vita e poesia rimane un'aspirazione,
anche se egli tende più narrare che a poetare, rifuggendo
dalla sublimazione lirica. |
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PER
LEI
Per lei voglio rime chiare,
usuali: in -are.
Rime magari vietate,
ma aperte: ventilate.
Rime coi suoni fini
(di mare) dei suoi orecchini.
O che abbiano, coralline,
le tinte della sue collanine.
Rime che a distanza
(Annina era così schietta)
conservino l'eleganza
povera, ma altrettanto netta.
Rime che non siano labili,
anche se orecchiabili.
Rime non crepuscolari,
ma verdi, elementari.
I
temi ricorrenti sono la guerra; il dolore; l'esistenza
come viaggio - anche in senso chiuso e circolare,
un viaggio che riporta indietro, al punto di partenza,
al nulla, al non essere, e che è simbolico
del passaggio fra un'epoca e l'altra e fra la vita
e la morte; la ricerca dell'identità che
sfocerà nell'immedesimazione con personaggi
mitologici come Enea e che è intesa come
modo per trovare gli altri attraverso se stessi;
il rapporto con i genitori; la vita popolare di
Genova e Livorno. La sua è un'epopea casalinga,
una fuga dalla storia che caratterizza molti poeti
dell'epoca come Penna, Luzi, Sereni, spaventati
dal passare del tempo, dalla distruzione della civiltà
contadina.
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Nel 1949 torna nella nostra città alla ricerca
della tomba dei nonni e la riscopre, ma, ormai, anche
Livorno è popolata di fantasmi.
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ULTIMA PREGHIERA
Anima mia, fa' in fretta.
Ti presto la bicicletta,
ma corri. E con la gente
(ti prego, sii prudente)
non ti fermare a parlare
smettendo di pedalare.
Arriverai a Livorno,
vedrai, prima di giorno.
Non ci sarà nessuno
ancora, ma uno
per uno guarda chi esce
da ogni portone, e aspetta
(mentre odora di pesce
e di notte il selciato)
la figurina netta,
nel buio, volta al mercato.
Io so che non potrà tardare
oltre quel primo albeggiare.
Pedala, vola. E bada
(un nulla potrebbe bastare)
di non lasciarti sviare
da un'altra, sulla stessa strada.
Livorno, come aggiorna,
col vento una torma
popola di ragazze
aperte come le sue piazze.
Ragazze grandi e vive
ma, attenta!, così sensitive
di reni (ragazze che hanno,
si dice, una dolcezza
tale nel petto, e tale
energia nella stretta)
che, se dovessi arrivare
col bianco vento che fanno,
so bene che andrebbe a finire
che ti lasceresti rapire.
Mia anima, non aspettare,
no, il loro apparire.
Faresti così fallire
con dolore il mio piano,
e io un'altra volta Annina,
di tutte la più mattutina,
vedrei anche a te sfuggita,
ahimè, come già alla vita.
Ricordati perché ti mando;
altro non ti raccomando.
Ricordati che ti dovrà apparire
prima di giorno, e spia
(giacché, non so più come,
ho scordato il portone)
da un capo all'altro la via,
da Cors'Amedeo al Cisternone.
Porterà uno scialletto
nero, e una gonna verde.
Terrà stretto sul petto
il borsellino, e d'erbe
già sapendo e di mare
rinfrescato il mattino,
non ti potrai sbagliare
vedendola attraversare.
Seguila prudentemente,
allora, e con la mente
all'erta. E, circospetta,
buttata la sigaretta,
accostati a lei soltanto,
anima, quando il mio pianto
sentirai che di piombo
è diventato in fondo
al mio cuore lontano.
Anche se io, così vecchio,
non potrò darti mano,
tu mòrmorale all'orecchio
(più lieve del mio sospiro,
messole un braccio in giro
alla vita) in un soffio
ciò ch'io e il mio rimorso,
pur parlassimo piano,
non le potremmo mai dire
senza vederla arrossire.
Dille chi ti ha mandato:
suo figlio, il suo fidanzato.
D'altro non ti richiedo.
Poi, va' pure in congedo. |
Promosso
dal Comune di Livorno
e dalla Fondazione Cassa di Risparmi
Concorso fotografico
nazionale "Caproni, i luoghi dell'anima"
Le opere devono essere consegnate
entro il 10 dicembre 2012
Livorno, 15 novembre 2012 - C’è tempo fino
al 10 dicembre per partecipare al concorso fotografico
“Caproni, i luoghi dell’anima” promosso
dal Comune di Livorno e dalla Fondazione Cassa di Risparmi
di Livorno, con il patrocinio del Ministero per i Beni
e le Attività Culturali, della Regione Toscana,
della Provincia di Livorno, del Comune di Genova e di
Roma Capitale, in occasione dell’Anno Caproniano.
Il concorso, la cui partecipazione è gratuita,
è rivolto a tutte le persone che risiedono in Italia
(ad esclusione degli organizzatori e di eventuali sponsor).
I files delle foto devono essere inviate al seguente indirizzo
e-mail: concorsofotografico@comune.livorno.it
oppure consegnati su supporto digitale all'Ufficio Cultura
e Spettacolo del Comune di Livorno (Via Pollastrini 5)
nei seguenti orari:
dal lunedì al venerdì dalle ore 9 alle 13
e il martedì e giovedì anche dalle ore 15.30
alle 17.30.
Le opere potranno essere inviate anche tramite posta ordinaria
all'indirizzo dell'Ufficio Cultura e Spettacolo (in questo
caso non farà fede la data del timbro postale).
Saranno premiati i primi tre classificati ex aequo e saranno
segnalate altre quattro opere fotografiche. A ciascuno
dei primi tre classificati ex aequo sarà assegnato
un buono acquisto per materiale fotografico del valore
di 200,00 €, ai quattro fotografi segnalati verrà
assegnata una targa.
Per informazioni: Ufficio Cultura e Spettacolo, tel. 0586/820523
e mail: cultura@comune.livorno.it
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Annina, fine e popolare come i versi del figlio, non c'è
più, non ci sono il suo odore di cipria, la catenina,
il tumulto del cuore, la camicetta. Ella, ormai, non si
può destare. |
Giorgio Caproni
Riferimenti:
Romano Luperini,
Il Novecento, Loescher editore
Walter Cremonti,
"I versi livornesi di Giorgio Caproni"
dal sito latramontanaperugia.it
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IL
CARRO DI VETRO
Il sole della mattina,
in me, che acuta spina.
Al carro tutto di vetro
perché anch'io andavo dietro?
Portavano via Annina
(nel sole) quella mattina.
Erano quattro i cavalli
(neri) senza sonagli.
Annina con me a Palermo
di notte era morta, e d'inverno.
Fuori c'era il temporale.
Poi cominciò ad albeggiare.
Dalla caserma vicina
allora, anche quella mattina,
perché si mise a suonare
la sveglia militare?
Era la prima mattina
del suo non potersi destare. |
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