Quattro
Opere sulla Divina Commedia
- Canto XXV
INFERNO
L’ultimo viaggio
di Ulisse e i suoi compagni.
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Vogliamo
farci capire da tutti: parlare con Sumberaz è
come parlare di calcio con intenditori di serie
A. Squadre da Champions League, per intenderci.
Europa League, se dalla cernita vogliamo proprio
togliere i Gotha - ahimè - del passato che
fu.
Parlare di Sumberaz significa distinguere tra il
dna del pittore e l'artista. E se per qualcuno la
differenza è impercettibile, ci spieghiamo
meglio, per distinguere e capire.
Il pittore ha un grandissimo dono di natura: le
mani e, estremità di queste, il pennello,
che si muove deciso e saggio, per dar vita a contorni
che, nella loro pienezza, ritraggono il visibile
di tutti, forse ancor meglio di come spesso la natura
crea. E' così, forse, che con l'arte innata,
la natura morta prende vita.
Poi accade, però, e non altrettanto spesso
se pur nella rarità, che l'incontro tra l'Uomo
e la tela viva solo di emozioni. Già, le
stesse emozioni che provocano incontrollabili sensazioni:
la pelle che si accappona, i brividi che si muovono
lungo la schiena facendosi cullare da note mai scritte
o ascoltate. Eppoi accade che, come sotto effetto
di distogeni, come per grazia ricevuta, una lunga
scarica di flash ti prenda e, con essa, prenda forma
e vita anche sulla tela. Dal nulla, l'opera ha avuto
origine. A quel punto tu che ammiri, godi immensamente
di tutto ciò, di fronte all'imponderabile
che ha preso forma e colore, odore e sapore.
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