Barolong
Seboni
Nell'aria inquieta del Kalahari
In the disquiet air of the Kalahari
Traduzione di Marisa Cecchetti
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Si
legge poca poesia nel nostro paese, purtroppo, anche
se la lirica resta la prima forma letteraria conosciuta,
insieme al teatro. Ma interessa ancora la letteratura
in un panorama editoriale guidato dal profitto e gestito
da manager? La domanda è retorica. Per fortuna
che ci sono i piccoli editori e i traduttori intelligenti,
tra i quali - immodestamente - mi ci metto pure io,
visto che Il Foglio Letterario (grazie a Malini) traduce
Polanski, ma anche (grazie a me) i cubani Viera, Navarrete,
Padilla e Piñera, oltre a pubblicare italiani
di valore (Garofalo e Polito su tutti). LietoColle
compie un'opera meritoria, grazie all'attenta traduzione
di Marisa Cecchetti che rende in un italiano raffinato
e lirico alcune poesie scritte a Edimburgo, nel 1993,
da Barolong Seboni (Botswana, 1957). Poesie scritte
fuori dall'Africa, ma che parlano dei problemi e dei
panorami della sua terra, profumano di nostalgia e
di sconfinate praterie del Kalahari, pur scritte nel
rigido clima scozzese. "La poesia di Seboni -
come scrive la traduttrice in una dotta prefazione
- passa attraverso il recupero della memoria dei padri,
del loro orgoglio nazionale, è un processo
di riscoperta delle radici che diventa riscoperta
e costruzione di sé, con un ritorno nel grembo
materno della sua tradizione, in un'esigenza di dignitoso
riscatto della propria cultura dopo il tentativo dei
bianchi di cancellare tale passato". Un popolo
senza passato è un popolo perso, afferma Seboni.
Come dargli torto? Ognuno di noi è alla ricerca
del suo passato, delle sue radici, ma nel caso di
Seboni sono radici antirazziste, ricordano la lotta
contro un colonizzatore bianco per il riscatto d'una
terra libera. Il mio amore per Cuba fa sì che
riesca ad apprezzare meglio di altri questa straordinaria
opera poetica, perché sono molte le suggestioni
che sento vicine. Alberi possenti come il baobab -
nel Caribe si chiama ceiba ma è la stessa cosa
- dove si seppelliscono i propri cari, simbolo di
energia, di longevità e di forza.
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La
leggenda cubana della ceiba che protegge perché
contiene le anime dei genitori, della possente sequoia
immortale che non va abbattuta ha radici africane.
La jacaranda è un altro fiore che unisce Africa
e Cuba, commistione razziale e paesaggi sconfinati
tra terra e mare sono il ricordo che torna prepotente
alla memoria. La poesia di Seboni ricorda liriche
di Piñera e racconti di Cabrera Infante quando
cita il fiore dal rosso colore, l'erba ingiallita,
il vento capriccioso, i cespugli dannati e gli ossuti
rovi. Le donne della Namibia sembrano contadine cubane
di razza nera sedute all'ombra della loro bancarella,
un vestito che è fluire di luce splendente,
mentre cuciono pezze multicolori sulle bambole che
vendono. E che dire delle stagioni? Come posso non
amare una lirica che recita: "Non ci sono stagioni/
in Africa, dicono/ solo calde estati che fumano/ di
nubi tonanti gonfie/ di pioggia del tipo convenzionale/
e notti invernali che fischiano/ sulle sabbie gialle
del Kgalagadi". Questa è Cuba, signori,
non soltanto l'Africa, è anche la terra dei
miei amati poeti che un tiranno fuori dalla storia
mi impedisce di rivedere. Ecco perché non posso
scrivere una recensione su questo piccolo gioiello
di libro, ma solo testimoniare tutto il mio amore
per liriche intense che raccontano un luogo dell'anima
che non è patrimonio esclusivo del poeta. Due
parole sulla traduttrice, Marisa Cecchetti, che ha
scoperto un talento lirico ignoto al pubblico italiano.
Pisana di San Giuliano Terme, lucchese di adozione,
di cui abbiamo letto con piacere un intenso romanzo
di formazione come La bici al cancello (Baroni, 2007).
Vi lascio con due liriche particolarmente suggestive
di Seboni. Leggere la sua opera fa bene al cuore.
Sanguedisole
Nelle
sere
le donne di Soweto
con occhi arrossati
piangono
perché attraverso
il velo di fumo
densodipus
il loro sole
sanguina.
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Coltello
notturno
Al
colpo
di un coltello
la notte si immerge
improvvisa sul tenero
fianco di Soweto.
La
mattina grida
come sirene
insanguinate di rugiada.
E
il giorno
si sparge vuoto
spalancandosi
in una sorpresa mortale
come una gola
fessa.
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