FILMOGRAFIA
:. La bella vita (1994)
:. Ferie d'agosto (1996)
:. Intolerance (1996)
:. (episodio "Roma
Ovest 143")
:. Ovosodo (1997)
:. Baci e abbracci (1999)
:. My nime is Tanino (2001)
:. Caterina va in città (2003)
:. N (Io e Napoleone) (2006)
:. Tutta la vita davanti (2008)
:. L'uomo che aveva picchiato la testa
:. (2009) (doc.)
:. La prima cosa bella (2010)
:. Tutti i santi giorni (2012)
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La
bella vita (Italia - Commedia -1994).
Regia di Paolo Virzì. Soggetto e
Sceneggiatura: Francesco Bruni e Paolo Virzì.
Scenografia: Attilio Capelli. Costumi:
Maria Giovanna Caselli. Direttori di produzione:
Francesco Fantacci e Cesare Jacolucci. Suono in
presa diretta: Bruno Pupparo. Montaggio:
Sergio Montanari. Fotografia: Paolo Carnera.
Musiche: Claudio Cimpanelli (Emi Music). Realizzato
da Paolo Vandini per la Time International Film srl.
Prodotto da Roberto Cimpanelli. Aiuto regista:
Gianluca Greco. Interpreti: Claudio Bigagli
(Bruno), Sabrina Ferilli (Mirella), Massimo Ghini
(Gerry Fumo), Giorgio Algranti, Emanuele Barresi,
Paola Tiziana Cruciani, Ugo Bencini, Raffaella Lebboroni,
Roberto Marini, Silvio Vannucci, Mario Erpichini.
Titoli in lavorazione: Dimenticare Piombino,
Il fumo di Piombino.
La
bella vita è il primo film di Paolo Virzì,
quello che dà il via alla sua epopea livornese
partendo dalla provincia più depressa: Piombino.
Virzì racconta il dramma di una cittadina industriale
che nel 1992 vive il declino inesorabile del mercato
dell'acciaio e subisce un regresso economico di portata
epocale. Piombino è una città simbolo
del lavoro operaio, vive da sempre con il motto "pane
e fumo", un luogo dove i genitori educano i figli
al rispetto per le ciminiere. Fino a quando da quelle
bocche voraci uscirà fumo tutto andrà
bene. Il 1992 è l'anno degli scioperi a oltranza,
dei blocchi ferroviari, della Cassa Integrazione Guadagni
a zero ore, delle lettere di licenziamento. L'anno
della crisi. Virzì descrive il dramma di una
città, di un microcosmo di provincia, senza
demagogia, con semplicità. Fonde ,dosando sapientemente
gli ingredienti della commedia, il dramma privato
di una famiglia che si sfalda con il dramma pubblico
di una città alla deriva. La bella vita è
commedia all'italiana vecchio stile, tra momenti di
commozione e parti leggere, senza esagerare né
su un versante né sull'altro. Un lavoro equilibrato
che fa pensare, sorridere e persino versare qualche
lacrima.
La storia è raccontata in prima persona dalla
voce narrante di Bruno, operaio metalmeccanico di
Piombino, stratagemma che provoca nello spettatore
un notevole coinvolgimento. Si parte da un flashback
sul matrimonio di Bruno e Mirella con i compagni di
lavoro che appena finito il turno si precipitano in
Comune per le nozze. Bella la scena iniziale con una
Fiat Ritmo scassata che corre dentro lo stabilimento
e si fa largo tra buche e pozze fangose. Come è
notevole la scena degli operai che scappano via al
suono della sirena per farsi belli e cambiarsi d'abito
dentro la macchina.
"Ma con la Ritmo, via
"
"Solita figura da morti di fame!"
Le battute in livornese sono eccezionali e strappano
il sorriso.
Bruno spiega che conobbe Mirella all'Elba, si sposarono
nel 1989, dopo sei anni di fidanzamento, quando l'Italia
era la quinta potenza industriale del mondo e gli
operai venivano trattati come signori.
Il flashback serve a presentarci i due ottimi protagonisti:
Claudio Bigagli, un operaio metalmeccanico credibile,
ben calato nella parte, e Sabrina Ferilli che dà
vita a un complesso personaggio di moglie tormentata.
Ricordano Accardo e Acerbo nel fondamentale My nime
is Virzì (Le Mani, 2010) che Sabrina Ferilli
è stata una precisa scelta del regista, visto
che la produzione avrebbe preferito Nancy Brilli.
Virzì aveva visto la Ferilli in Americano rosso
di Alessandro D'Alatri e in Diario di un vizio di
Marco Ferreri e ne era rimasto entusiasta. Il produttore
accetta di ingaggiare l'attrice romana, ma pretende
che vengano inserite un buon numero di sequenze erotiche.
Il racconto di Bruno ci porta al 1992, anno che segna
l'inizio della crisi siderurgica e una stagione di
lotte operaie che non cambieranno la situazione. Virzì
descrive le assemblee, le riunioni, gli scioperi,
accenna ai blocchi ferroviari alla stazione di Campiglia
Marittima, mostra le differenze tra chi voleva fermare
la produzione e chi voleva andare avanti a ogni costo.
Il regista mette in evidenza i sogni degli operai
che tentano di mettersi in proprio, che negoziano
la buona uscita, persino il licenziamento. Si astiene
da giudizi - non è compito di un buon narratore
- ma si capisce che sta dalla parte di chi avrebbe
voluto lottare sino in fondo per la difesa del posto
di lavoro.
Tra chi sogna di mettersi in proprio c'è pure
Bruno Nardelli che vorrebbe aprire un'attività
legata alla siderurgia insieme ai due amici Batoni
e Manzani Un sogno che resterà tale. Non è
più il tempo per sognare una ripresa dell'industria
dell'acciaio. Fare in proprio un lavoro simile è
pura follia.
Virzì gira ottime panoramiche del centro storico
di Piombino, ritaglia stupende fotografie di Piazza
Bovio che si affaccia sull'isola d'Elba e sul Canale,
ma soprattutto insiste sul lato operaio della città.
Le acciaierie la fanno da padrone, inquadrate a più
riprese per dividere i le diverse sequenze. I quartieri
dove Virzì ambienta la storia sono i più
popolari (Cotone, Gagno, Tolla Alta), molte scene
si svolgono al Porto e dentro la stessa acciaieria.
Il regista vuol fare un'epopea della classe operaia,
descriverne la fine, il canto del cigno. Bruno e Mirella
abitano in una casa popolare, non hanno figli, lui
soffre di una cardiopatia congenita, adesso deve fare
i conti con la crisi economica, lei invece fa la cassiera
in un supermercato.
Una sera a teatro Mirella conosce Gerardo Fumaroli,
detto Gerry Fumo, l'ancorman di Canale 3, la televisione
locale che anche loro seguono. Massimo Ghini è
perfetto nella parte di un uomo vuoto e affascinante,
antipatico e bello, che irretisce Mirella nella sua
trappola. Il marito è troppo preso dalle sue
preoccupazioni per accorgersi di ciò che sta
accadendo. Gerry corteggia Mirella, la invita a pranzo,
le dedica una canzone in televisione, fa la spesa
nel supermercato dove lavora. Fino a quando la donna
cede. Nel contesto del tradimento Virzì inserisce
gli scioperi degli operai, le lotte sindacali, un
accenno alla canzone di Marco Masini che le commesse
cantano al supermercato (Vaffanculo) e la minaccia
della cassa integrazione che si fa sempre più
vicina. Non mancano intense parti erotiche che Massimo
Ghini e Sabrina Ferilli interpretano con professionalità
e che non disturbano nell'economia del film. Ottime
le sequenze girate dentro la fabbrica, così
come è suggestiva la fotografia di una Piombino
notturna, simile a un'immensa acciaieria, che disegna
la disperazione d'una città senza lavoro. Ricordiamo
la sequenza delle lettere che giungono dall'azienda
a Bruno e al vicino di casa. I due amici vanno a bere
insieme per consolarsi che è arrivata la Cassa
Integrazione ma dal giorno dopo Bruno scivola nella
depressione più nera. Le giornate sono eterne,
Bruno si alza tardi, vaga per la città in motorino,
non sa cosa fare. Il vicino Danilo Brogi è
in garage a pulire i fucili e attende la stagione
della caccia. Una colonna sonora languida e struggente
accompagna i pensieri cupi di Bruno, i pensieri di
una generazione di operai. "Si fa la bella vita,
eh?" dice il Brogi. Bruno accenna di sì
con la testa ma poi cade di motorino. La disperazione
è palese ma si fa finta di niente, si cerca
di dire che tutto va bene, almeno davanti agli altri,
si cerca di convincersi per sperare ancora.
Mirella e Gerry si vedono di nascosto e fanno l'amore
in auto come due ragazzini. Bruno è così
preoccupato che non si accorge di niente mentre i
suoi amici sanno che la moglie ha una tresca con il
giornalista. Rossella, una sindacalista da sempre
innamorata di Bruno, gli apre gli occhi e lui decide
di spiare la moglie quando esce da lavoro. Un giorno
Bruno scopre tutto. Al porto, sotto una pioggia torrenziale,
vede Mirella salire nell'auto di Gerry. Ottime le
sequenze sotto la burrasca, come è ben raccontata
la disperazione di Bruno che si vede crollare il mondo
addosso. Bruno caccia di casa Mirella dopo una scenata,
anche se lei non vorrebbe andarsene e gli assicura
che è tutto finito. Bruno non riesce a capire.
Torna la voce narrante di Bruno. Apprendiamo che Mirella
è andata a vivere con Gerry e fa pure lei "la
bella vita" nel villino di Salivoli con il giornalista.
Bruno riprende con gli amici il progetto di mettersi
in proprio e insieme comprano un terreno vicino al
mare per aprire il capannone. Per ottenere un prestito
in banca Bruno convince il padre a firmare una fideiussione
con il suo appartamento come garanzia di solvibilità.
Una scena commovente vede Bruno a confronto con il
padre: "Il mondo là fuori sta cambiando
e te c'hai sonno" dice Bruno. "Essere babbo
di un industriale mi fa schifo", risponde il
babbo e subito dopo rincara: "Non vedo l'ora
di morire per non sentirlo più questo puzzo".
La seconda affermazione riguarda l'odore di fabbrica
che proviene dalla finestra, fa male sentirla uscire
dalla bocca di una persona che ha vissuto con il fumo
davanti agli occhi, assaporando pane e odore di stabilimento.
In ogni caso il progetto è bloccato dalla banca
per insufficienti garanzie e il direttore dopo una
cena a base di pesce congeda gli aspiranti industriali.
A cena vediamo un patetico incontro tra Bruno e Mirella:
lei è a tavola con Gerry e Bruno molla tutto
per andare a salutarla. Quando i tre amici lasciano
il ristorante, un vibrante litigio provoca un malore
al cuore malandato di Bruno che cade a terra e si
ritrova in un letto d'ospedale. Tutti gli amici si
recano al capezzale, persino la sindacalista Rossella
che è sempre innamorata di lui. Intanto tra
Mirella e Gerry le cose non vanno più così
bene, ci sono spesso discussioni, anche lui risente
della crisi cittadina e la sua Canale 3 non trova
sponsor pubblicitari. Mirella decide di far visita
a Bruno, quando lui la rivede la perdona e decidono
di tornare insieme. La figura di Rossella è
molto toccante, una donna sempre presente per amore,
ma pronta a cedere il posto ancora una volta alla
moglie che ritorna. Virzì è molto bravo
a stemperare la tensione inserendo una battuta indovinata
di un caratterista. "Il Tirreno me lo compra
lei, domani?". Il vicino di letto ha capito che
l'altra donna non tornerà più. Gerry
torna con la vecchia amante Marisa e apre un negozio
di tabacchi dalle parti di Parma. Ma il lieto fine
non è scontato. Il matrimonio di Mirella e
Bruno continua a traballare, tra loro non c'è
più amore, ma solo freddezza e un muro che
li separa. Si fa in tempo a vedere il vicino spararsi
un colpo di fucile in bocca che Bruno e Mirella si
lasciano di nuovo. Forse per sempre. Il regista lascia
un finale aperto. Bruno accompagna Mirella alla nave
e lei torna all'Elba. Ma un anno dopo cominciano a
scriversi e si raccontano la vita. Bruno ha aperto
uno stabilimento balneare con i tre amici proprio
dove volevano fare il capannone industriale, Mirella
fa la baby sitter e la maestra d'asilo. Chissà
come andrà a finire. "A Piombino tutto
passa ma la vita continua", conclude Virzì.
Una splendida fotografia da cartolina su Piazza Bovio
protesa sull'Isola d'Elba ce lo fa capire.
Il finale è toccante. L'amore di Bruno e Mirella
forse non è destinato a morire, può
risorgere dalle ceneri del passato, così come
sta rinascendo Piombino grazie a una nuova speranza.
Il futuro è il turismo, sembra dire Virzì,
e se una ciminiera di troppo deturpa il panorama non
fa niente, "ci si mette una siepe".
Tra i tanti premi collaterali della Mostra del Cinema
di Venezia 1994 il Ciak d'oro assegnato a La bella
vita, quale miglior film presentato nel Panorama italiano,
fu quello che trovò la maggior unanimità
di consensi. Il film vince un David di Donatello per
il miglior regista esordiente e due Nastri d'Argento,
uno per Virzì e uno per la Ferilli. L'opera
di esordio di Virzì si segnala per la professionalità
degli interpreti e per la solidità della struttura
narrativa. Sabrina Ferilli viene lanciata proprio
da questo film, non solo per la bellezza conturbante,
ma anche per il lato comico. "È un Totò
con le tette", afferma Virzì. Ghini e
Bigagli sono due professionisti che prestano le loro
maschere - la prima amara, la seconda goliardica -
a due personaggi ben tratteggiati. Il film è
girato in economia, ricorrendo a molti figuranti locali,
costumi inventati sul momento e scenografie di fortuna.
"Il film è rudimentale, coi primi piani
e le scene ferme", dice Virzì. Si nota,
è vero, ma il fascino naïf che emana resta
intatto forse proprio per quel motivo. Lo sceneggiatore
Francesco Bruni ha molti meriti, la storia raccontata
è un vero e proprio romanzo per immagini. I
personaggi di Virzì mostrano un'anima, il suo
melodramma di provincia è dotato di molto cuore
e poca retorica. Virzì costruisce un film garbato
e sommesso, dai toni lievi e coinvolgenti, ai limiti
della commozione. Pochi i difetti tipici di un'opera
prima. Forse solo l'eccessiva intromissione nella
storia della voce narrante che cerca di ovviare a
qualche discontinuità nel ritmo narrativo e
anche una serie di inquadrature troppo lineari e accademiche.
Per il resto un film da vedere e da rivedere sempre
con piacere. Incasso ottimo: un miliardo e trecento
milioni. A Piombino resta in cartellone quasi un mese
scatenando furiosi dibattiti sulla stampa locale tra
chi concorda con la visione del regista e chi avrebbe
voluto una maggior attenzione al contesto esterno
alla fabbrica. Non era compito di Virzì fare
un film cartolina e neppure una favola buonista.
La critica è abbastanza soddisfatta. Pino Farinotti
concede due stelle: "C'è qualcosa che
lega questo film a Romanzo popolare di Mario Monicelli
i risultati sono soddisfacenti e il film risulta godibile.
Discreto successo di pubblico. Risente di molti debiti
verso la commedia all'italiana". Farinotti imputa
a Virzì una certa mancanza di originalità,
anche se afferma che la confezione è buona.
Morando Morandini arriva a due stelle e mezzo (tre
di pubblico): "Pulizia descrittiva nell'analisi
del malessere - antropologico e culturale prima che
sociale - del ceto operaio che ha smarrito la propria
identità, un trio d'attori che funzionano,
comprimari con le facce giuste, ma anche una certa
mancanza di energia narrativa, visibile specialmente
nella ricerca annaspante di un finale". Paolo
Mereghetti conferma due stelle e mezzo: "Un esordio
sincero che non si ferma alle mere storie di corna
condominiali tanto in voga nel cinema italiano, ma
inserisce la crisi coniugale in una prospettiva più
ampia: quella di una vita di provincia in cui la ristrutturazione
industriale incrina i valori e le possibilità
di un'esistenza dignitosa e dove la televisione offre
tentazioni volgari e illusorie. Debole (anche se apprezzabile)
il tentativo di descrivere il mondo sindacale e operaio;
riuscito, invece, li sforzo di creare personaggi che
non siano marionette al servizio di un copione stereotipato.
Non cinema da camera più servizi, ma cinema
di attori e di storie con un certo spessore, senza
lieto fine consolatorio. La Ferilli, ancora una volta,
si conferma come la presenza più solida e luminosa
nel panorama delle attrici italiane".
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