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Regia:
Stefano Simone. Scritto da: Francesco Massaccesi.
Editing & Colour correction: Stefano Simone.
Musiche: Luca Auriemma. Arredamento:
Dino D'Andrea. Effetti Cg: Andrea Ricca. Interpreti:
Matteo Perillo, Michele Bottalico, Filippo Totaro,
Peppe Sfera, Tonino Potito, Nicla Loconsole, Michela
Mastroluca, Raffaella Piemontese, Adolfo Renato, Tecla
Mione. Origine: Italia. Anno: 2013.
Durata: 62'.
Marco,
Gianni, Stefano e Fabrizio, amici da sempre, si riuniscono
come ogni anno per un torneo calcistico trasmesso
in televisione che vede rivali le loro quattro squadre.
Ogni personaggio è tormentato da un'angoscia
diversa: solitudine, famiglia, divorzio, inferiorità
sociale. Il calcio è il detonatore dei problemi
insoluti delle loro vite, il catalizzatore di un odio
represso, che esplode in un tranquillo weekend di
paura, tra le mura di una casa di campagna, dove tutto
era predisposto per una cena in compagnia, davanti
al televisore, come ai vecchi tempi.
Stefano Simone gira il suo film più maturo,
restando nel genere thriller stile Kenneth (2008)
e Unfacebook (2011), ma abbandonando i riferimenti
fantastici presenti in Cappuccetto Rosso (2009), Una
vita nel mistero (2010) e nello stesso Unfacebook.
Weekend tra amici è intriso di crudo realismo,
un thriller claustrofobico e introspettivo, teatrale,
un melodramma che scava nella psicologia dei personaggi
e porta alla luce i demoni che albergano nella nostra
psiche. Simone va ben oltre gli angusti confini del
genere, scrive il suo miglior cinema d'autore, che
risente delle influenze di Ingmar Bergman e William
Friedkin. Un elogio al soggettista sceneggiatore Francesco
Massaccesi (un cognome che promette bene), perché
- a parte alcune lungaggini - non abbiamo notato buchi
di sceneggiatura. Ottimo il montaggio, serrato quanto
basta per creare la tensione di un cinema claustrofobico,
girato quasi tutto in una stanza. Il meccanismo è
quello dei 12 piccoli indiani di Agata Christie, solo
che non stiamo cercando un assassino, ma il demone
che prende forma e uccide senza un motivo apparente.
La musica di Luca Auriemma - che conosciamo dai tempi
di Cappuccetto Rosso, una costante nel cinema di Simone
- è perfetta per caratterizzare tensione e
momenti culminanti. Brani sintetici e sonorità
meridionali, a tratti pare di sentire uno scacciapensieri,
sono il leitmotiv di una colonna sonora ideale per
rendere il clima angosciante della pellicola. Effetti
speciali credibili, realizzati in economia, ma realistici:
le parti efferate sono prive di sbavature, se tralasciamo
il primo morto nella doccia che - per un istante -
si vede respirare. Mi soffermo sulla recitazione,
da sempre nota dolente del cinema di Simone, perché
questa volta gli attori sono tutti bravi e ben calati
nella parte, recitano con tono drammatico notevole,
forse troppo impostato e teatrale, ma recitano, e
catturano l'attenzione dello spettatore. Matteo Perillo
(il dentista) ha una marcia in più, un vero
professionista, interpreta in maniera convincente
il dramma interiore della solitudine. Nicla Loconsole
è una bella presenza sexy, persino misteriosa,
che compare per un breve flash, ma purtroppo è
poco utilizzata dal regista. La regia è attenta,
la macchina da presa alterna primi piani, particolari,
panoramiche, esterni paesaggistici che descrivono
il colore locale, fotografa il crescendo di follia
ricorrendo a una colorazione intensa con un tono rosso
dominante.
Weekend tra amici parte con il tono della storia di
formazione, un racconto alla Salvatores, stile Italia
Germania 4 a 3 (1990) di Andrea Barzini e Compagni
di scuola (1988) di Carlo Verdone, seguendo una tematica
minimalista e costruendo una nostalgia del tempo passato
che sfocia nel dramma. I quattro amici si riuniscono
per passare un fine settimana insieme, per godere
la visione del loro sport preferito, ma non riescono
a lasciare da parte loro stessi, i problemi, le angosce
che tormentano un difficile quotidiano. La vita scorre,
la giovinezza è ormai perduta, i sogni sono
infranti, resta il dramma di una generazione sconfitta.
Simone e Massaccesi realizzano una dura critica al
mondo del calcio ricorrendo a dialoghi serrati, molto
tecnici, che i non ferrati nella materia faticheranno
a comprendere. La critica alla violenza va di pari
passo con il perbenismo di chi si disinteressa - ed
è peggiore degli ultras - perché tanto
ha l'abbonamento in tribuna d'onore. Lo stadio visto
come sfogo sociale alle frustrazioni non è
un'idea nuova, ma Simone inserisce citazioni colte
(Blake, Cechov
) e intuizioni d'autore interessanti,
oltre a mettere il dito sulla piaga: il gioco del
calcio scatena gli istinti peggiori dell'uomo. Un
crescendo di delirio e un tono sempre più cupo
apre le porte a sequenze di puro metacinema quando
uno degli amici afferma che con il cinema alto non
si fanno incassi, svela i meccanismi della suspense
e del sottotesto. Solitudine, rancori, famiglia vista
come gabbia dalla quale è impossibile uscire,
incomprensibile follia, tutto conduce alla più
incredibile delle tragedie, una vera e propria ecatombe
da melodramma spagnolo. Stefano Simone si dimostra
ancora una volta un regista promettente, capace di
mettere in scena un testo difficile e colto, intriso
di riferimenti classici e letterari.
Gordiano
Lupi
www.infol.it/lupi
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