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Patrizia
Poli presenta
Il Caffè Bardi |
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Non
ci fu solo il caffè Michelangelo a Firenze,
quartier generale dei macchiaioli, dove Renato Fucini
declamava i suoi sonetti fra l'ilarità generale,
insieme all'amico Edmondo de Amicis, ci furono anche
i caffè livornesi, luoghi di ritrovo di artisti
e letterati, fucine di fermento culturale e di avanguardie.
Nella Livorno della Belle Epoque, mentre il bel mondo
si pavoneggiava sul lungomare e prendeva i bagni ai
Pancaldi, il caffè Bardi, all'angolo fra via
Cairoli e piazza Cavour, ospitò pittori, scultori,
letterati, musicisti e autori di teatro, convogliando
correnti artistiche che vanno dal simbolismo al post
impressionismo.
Fondato nel 1908 da Ugo Bardi, che rilevò l'attività
del vecchio caffè Carlo Ragazzi, fu frequentato
da artisti di ogni genere ma anche da collezionisti,
corniciai e appassionati d'arte e divenne il ritrovo
preferito del Gruppo pittorico Labronico.
Il proprietario era un amante dell'arte, un mecenate,
creò un luogo di aggregazione e svago; i pittori
che lo bazzicavano si divertivano a tracciare caricature
degli avventori sul marmo dei tavolini, decorando
i pilasti e le lunette. I giovani artisti occupavano
il cantuccio di sinistra, che essi stessi avevano
abbellito, in particolare Romiti e Natali vi lasciarono
affreschi.
Lo frequentava Modigliani, nelle sue rare rimpatriate,
che al caffè lasciò un rotolo di disegni
su carta a quadretti. Fu qui, pare, che gli fu consigliato
di "buttare nel fosso" le sue sculture,
dando origine, molti anni dopo, alla famosa beffa
delle teste di Modì.
Erano habitué del caffè pittori come
Gino Romiti, Oscar Ghiglia, Giovanni Bartolena, Giovanni
March ma anche scrittori come Gastone Razzaguta, che,
in Virtù degli artisti labronici, ne ha lasciato
un vivido ricordo, e ancora Giosuè Borsi e
persino Dino Campana e Gabriele d' Annunzio quando
si fermavano a Livorno.
Nessuno sa, però, che poco più avanti,
in via Cairoli, in un palazzo che oggi ospita uffici
di professionisti, medici e assicuratori, c'era l'atelier
di Rosachiara, casa di mode frequentata dalle signore
del bel mondo. Rosachiara è famosa perché
il suo uomo sfidò a duello Mussolini, quando
ancora non era il duce.
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Agli
ordini della padrona, con mani svelte e alacri, le sartine
creavano plissé, ricoprivano di stoffa minuscoli
bottoni, aprivano asole per compiacere signore esigenti
e viziate.
Fra tutte spiccava Ida, alta, con gli occhi azzurri, i capelli
biondi. Era così bella che la padrona la chiamava
ad indossare i vestiti per mostrarli alle acquirenti.
Si alzava, allora, Ida, posava il lavoro, nascondeva
le dita bucate dall'ago, la povera biancheria dimessa,
si spogliava negli stanzoni ghiacci dagli alti soffitti,
sfilava col suo passo fiero, trafitta dalle occhiate
invidiose di signore sulle quali mai il vestito sarebbe
caduto così bene. Lei le oltrepassava, altera,
distaccata.
E poi, ridendo, le sartine scappavano in strada per
una pausa, s'infilavano nel caffè Bardi, sotto
gli sguardi ammirati di artisti, pittori, studenti
e bancari, che non erano abituati a ragazze tanto
audaci e moderne.
E chissà se Modigliani, stanco, disilluso,
ubriaco, si sarà fermato ad ammirare il lungo
collo immacolato di Ida, gli occhi brillanti, colmi
di speranza in una vita che sarebbe stata lunga, sì,
ma che non avrebbe mantenuto le promesse.
Il caffè chiuse nel 1921, alla vigilia della
fondazione del partito comunista e dell'ascesa di
Mussolini.
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